IL Sentiero del Viandante: tappa 1 (prima parte Abbadia-Mandello)

In azzurro il nostro percorso con le tappe:

Dopo la tappa zero del Sentiero del Viandante, nel precedente articolo (qui), ora un pezzo di TAPPA 1 (uno)… ma quando finirà questo percorso e relativo racconto? Beh, le tappe sono solo cinque e, agggiungendo la zero diventano sei, non siamo proprio sul Cammino di Compostela di 800 km! Il Sentiero del Viandante completo, da Lecco a Morbegno, è lungo 87 km, con una proporzione maggiore di dislivello (5310 m di dislivello positivo) rispetto a quello di Compostela. Sciocco fare questo confronto, ma sempre di camminare si tratta 😉 . Il cammino di Compostela richiede 30 giorni e questo si può fare in soli 6 tappe. Lungo questo sentiero sono consigliate alcune soste interessanti, che richiedono un po’ di tempo supplementare, ma arricchiscono la conoscenza dell’ambiente che si attraversa. Se si ha tempo o si abita in zona è bello poter dividere ulteriormente le tappe adeguandole ai propri ritmi, tempi e interessi.

Questa seconda tappa o TAPPA UNO è stata sdoppiata da noi, oggi ne faremo solo una breve tratto iniziale.

Questo lo abbiamo fatto per due motivi, innanzi tutto la normale viabilità sul lago di Como con la ferrovia è stata interrotta per una frana caduta in zona Fiumelatte il 19 maggio appena scorso. Il treno è un mezzo molto comodo, di cui ci servivamo per raggiungere la meta e ritornare a casa. E poi abbiamo trovato in rete la documentazione del breve e facile tratto Abbadia-Mandello (e ritorno), arricchito dalla visita alla chiesetta di San Giorgio di Crebbio. Abbiamo progettato quindi questo tranquillo sabato al lago, veramente al lago perchè ci si allontana da lui pochissimo, il dislivello da fare è di 50 metri. Prendiamo l’auto per raggiungere il punto di partenza di questo anello fatto in parte sul sentiero del viandante, l’inizio della tappa uno, e chiuso da una passeggiata sul lago di Abbadia.

Ma poi, cammin facendo, dopo soli 30 minuti, ecco l’indicazione di una deviazione verso la cascata del Cenghen. Che fare? Un viandante di ritorno ci assicura che in mezz’ora l’avremmo raggiunta, che era una piacevole camminata ombrosa premiata poi dalla vista di questo bellissimo salto. Dunque partiamo decisi seguendo le numerose indicazioni. La salita si è dimostrata più faticosa del previsto, il tempo si è raddoppiato, ma il salto di 50 metri dalla roccia verticale sembrava il miracolo della verga di Mosé, che gli è costato caro… ma questa è un’altra storia. Noi abbiamo fatto la nostra sosta con panino e siamo ripartiti per riprendere il sentiero dove lo avevamo lasciato e raggiungere poi la chiesa di san Giorgio prima della chiusura. (La chiesa di San Giorgio di Crebbio apre solo il sabato pomeriggio dalle 14 alle 17, alle 16 si celebra la messa)

Tornati sul sentiero del viandante riprendiamo la mulattiera acciottolata che porta alla Chiesetta, tra i profumi di gelsomino e caprifoglio. Qui, dopo aver goduto dei dipinti medioevali che rappresentano un  Giudizio Universale, affrescato con teneri colori, che mi riporta all’emozione dei grandi dipinti di Giotto della Cappella degli Scrovegni, e osservato poi meglio con il supporto delle indicazioni scaricate da un’app sul sagrato… proprio qui alla Chiesette lasciamo il Sentiero del Viandante col proposito di completarlo a breve, prima che sopraggiunga il caldo estivo.

Tutto a posto? Mi state seguendo?

Io mi sarei addirittura fermata ad assistere alla Santa Messa, seduta sull’ultimo banco, tra questi colori, fra beati e dannati, e la schiera di angeli, santi… tutti sotto l’autorità indiscussa del Dio Giudice, ed ero anche un po’ incuriosita di controllare se avessi per caso migliorato la comprensione delle letture dell’officiante, avendo in corso la lettura della Bibbia, non male eh! Maaa c’era molto afflusso di fedeli e pareva si trattasse di qualche funzione speciale e riservata.

Mi alzo e seguo il mio compagno che mi sprona a riprendere il passo.

Lasciamo il sentiero e scendiamo al piano tra ville e curatissimi giardini.  A Mandello del Lario uno sguado al suo lago e una sosta sotto i suoi caratteristici portici ed è ora di fare ritorno a riprendere l’auto. Per il primo tratto ripercorriamo la stessa strada e poi in riva al lago, dove ci rilassiamo coi piedi in acqua!

Il video percorso fatto con Relive e qualche foto documento di questo sabato 27 maggio 2023.

 
Sul Sentiero del Viandante inizio tappa uno: da San Martino di Abbadia, dove avevamo concluso la tappa zero, fino all’incrocio con cappelletta da cui saliamo per la cascata del Cenghen:

Alla cascata del Cenghen:

Due brevissimi video per sentire la fatica e la cascata:
https://youtu.be/QwmuN1n4-xs
https://youtu.be/Cjnh4-FkhwI
Concludiamo la tappa alla chiesettea di San Giorgio di Crebbio:
Gli affreschi:
“Questo ciclo di affreschi si presenta come un enorme fumetto che si sviluppa su tre grandi pagine formate dall’arco con il Giudizio Universale che introduce al presbiterio, dalla parete di sinistra con la raffigurazione della Risurrezione dei morti e l’Ascesa al Paradiso degli eletti, e da quella di destra con un grande Inferno popolato da demoni torturatori e da dannati in gran parte infilzati sui rami appuntiti di un gigantesco albero. L’opera è di straordinaria efficacia didattica e di forte suggestione emotiva.”
Scendiamo a Mandello del Lario:
Nelle acque del lago di Como:

Oggi abbiamo percorso circa 12,4 km, di cui 4,5 per salire alla cascato. I km percorsi della prima tappa del Sentiero del Viandante sono solo ​2,5 km circa dei 10,8 totali, che faremo la prossima volta.

Link utili:

Sentiero del Viandante, Lago di Como: da Abbadia a Mandello (waterwind.it)

La Cascata del Cenghen: passeggiata incantata sopra il Lago di Lecco

Chiesa di San Giorgio (sistemamusealediocesicomo.it)

La-Chiesa-di-San-Giorgio-a-Mandello-del-Lario   pdf

Chiesa-di-San-Giorgio-con-foto-_-Roberto-Pozzi   pdf

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Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate 

 
Alla prossima!
Mandello-Lierna
 

IL Sentiero del Viandante: tappa 0 (Lecco-Abbadia)

IL Sentiero del Viandante: tappa 0 (zero) -da Lecco ad Abbadia Lariana-

Il percorso da Lecco ripreso dalla mappa

Ok, ci sono, inizio a documentare questo percorso storico che mi ha tanto attirato, chissà perchè?

Innanzi tutto perchè inizia, o termina, proprio a Morbegno, e Morbegno è la cittadina valtellinese dove abito.

Poi attraversa luoghi abitati, anche quelli che lo erano un tempo e quelli che lo sono saltuariamente. Infatti il percorso è storico perchè era sulle vie di transito della gente del luogo quando ancora non c’erano le strade di fondovalle. Un fondovalle che era ancora poco abitato, perchè insalubre e più esposto ai disastri delle inondazioni del fiume Adda e dei numerosi torrenti, o più pericolosi per il passaggio di eserciti e predoni.

Questo Sentiero non va molto in alto e si presta ad essere percorso nelle mezze stagioni, quando non è ancora troppo caldo e non è facile salire sopra i mille metri.

Camminando si conosce meglio l’ambiente che ci circonda: i piccoli nuclei nascosti fra boschi e valli, i paesi cresciuti sui conoidi dei torrenti, i torrenti che spesso costringono a scendere per trovare il ponte che li attraversa e ci permette di continuare il viaggio.

Si può fare questo Sentiero “a pezzi”, specialmente per chi, come noi, abita nella zona; e lo si può fare utilizzando anche la ferrovia da cui è ben servito. 

E poi il lago, il Lago di Como, dove si sviluppa la maggior parte del percorso, è un vero incanto, un incanto per gli occhi, e una sorpresa per la mente che non immaginava certi panorami a tuffo sull’ acqua!

E, per ultimo, ma molto importante, questo è un Sentiero ben indicato, curato e praticato, quindi rassicurante. Si trovano molte informazioni anche on line e alcune le linkerò in fondo all’articolo.

Quindi si parte!

In realtà avevo iniziato il percorso da Morbegno a febbraio 2022, ma purtroppo una sciocca scivolata mi ha fermato alla prima tappa che per noi era Morbegno-Cosio, un pezzetto di tappa, breve, come anche altre successive, spesso fatte solo il pomeriggio o comunque lente per poter fare anche scoperte e fotografie e perché veloce non lo sono più, specialmente in salita!

Che faccio, metto anche la “falsa partenza” del 2022? Un anello che si è chiuso in pronto soccorso a Morbegno? No, vabbé, inizio dalla tappa zero, quella che segna la regolare partenza indicata dalle mappe, anche se noi l’abbiamo percorsa quasi per ultima.

LA TAPPA ZERO: LECCO-ABBADIA LARIANA

Questo primo tratto del Sentiero del Viandante è stato reso percorribile solo nella primavera del 2021, infatti molte mappe non lo considerano. (linea blu sulla mappa)

Noi siamo andati in treno da Morbegno a Lecco e dalla stazione di Lecco è iniziato il nostro cammino che si è concluso ad Abbadia Lariana, in stazione, ma essendo presto per il nostro treno abbiamo fatto un giretto sperando in un gelato… Le indicazioni che avevamo trovato davano un percorso di 7 km e un dislivello di poco più di 300 m.  Noi, da stazione a stazione, abbiamo calcolato cica 9,5 km; con altri giri in attesa del treno abbiamo poi superato i 10 km, ma questo non è da calcolare. 

Mappa con intera visione da Morbegno a Lecco e tutto il lago di Como:

Quindi ieri, lunedì 15 maggio 2023 abbiamo percorso la prima tappa o tappa zero del Sentiero del Viandante. Vi dico che era lunedì e non è irrilevante, abbiamo trovato poca gente sul sentiero, rispetto al giorno di Pasqua o al 25 aprile, o anche al sabato o alla domenica. Inoltre sappiate che se volete visitare qualche torre o museo  presenti sul percorso, dovete controllare le aperture in giorni e ore. Nel nostro lunedì di ieri ad Abbadia erano chiuse anche le fontane! Ma è stato molto carino ugualmente e ora vi metto subito il video/mappa che vi mostra al volo la nostra intera tappa.

Ecco fatto, spero vi sia piaciuto o vi abbia almeno incuriosito. Alcune riprese sono un po’ pasticciate e nascoste dietro al Monte di San Martino alle cui sassose basi noi camminavamo all’ombra delle sue selve.

Le prime foto le abbiamo scattate a Lecco sul suo lungolago, che ci ha stupito!

Poi abbiamo preso il sentiero che dopo poco ci ha di nuovo riportato al lago:

Lungo il percorso ogni tanto un balcone si affacciava su quel ramo del lago di Como, che era di un blu pazzesco: scattare la foto, ma poi attenzione ai propri passi, il sentiero è molto sassoso, di sassi rotti e anche terra umida e compatta, dopo la settimana fortunatamente piovosa. Il sentiero, un po’ sistemato fra tralicci e reti paramassi, costeggiando la montagna traforata e messa in sicurezza, non sale molto, ma ondeggia per assecondare la conformazione della montagna e delle grandi opere stradali. Sotto di noi il traffico degli automezzi sulla superstrada e dei treni che escono ed entrano nelle gallerie.

(cliccate su una foto e fate scorrere la galleria di immagini se volete osservare bene il sentiero)

Nel bosco abbiamo intravisto una cerva con due cerbiatti allontanarsi un poco, alberi e fiori hanno saputo sopravvivere alle opere dell’uomo.

Ed eccoci scendere l’ultima scala in ferro per raggiungere la spiaggetta di Abbadia Lariana. Wow! dico io, i miei piedi richiedono sollievo… La spiaggia è selvatica e intorno le rive sbirciano solo la superstrada, erbe e alberi escono dall’acqua… sullo sfondo, ma lontano, solo Lecco.  Il suono della risacca delle onde è chiaro e nulla si sente più del traffico… alcuni ragazzi perlustrano la zona in cerca di una spiaggia per nudisti: certo la privacy della zona è quasi adatta, quasi però, perchè i viandanti ne sono stati attratti!

Volete sentire le onde del lago:

Su su, concludiamo la tappa zero, bisogna arrivare alla chiesa di San Martino, poi andremo in stazione perchè la nostra tappa iniziata alla stazione di Lecco, terminerà alla stazione di Abbadia Lariana.

 

Per il nostro treno è presto, che facciamo di bello? Potrebbe anche piovere, un gelato seduti tranquilli? O una merenda dallo zaino sulla spiaggia del parco: è piaciuta anche agli anatroccoli!

Fine tappa zero

Lecco-Abbadia Lariana: tappa zero: zero acqua, zero punti di sosta, zero bar aperti all’arrivo ad Abbadia, zero racchette, dimenticate ma non indispensabili, zero pioggia, quasi zero incontri, e

zero tristezza!

Ad Abbadia stazione chiusa, punto info stazione chiuso, museo della seta chiuso, fontana in stazione secca ma distributore bottigliette funzionante! Evvai… era lunedì: poco chiasso eh! Ma, ma a Varenna sempre moltissimi turisti carichi di bagagli, sia al mattino che hanno invaso ogni spazio possibile del nostro  vagone, e pure al pomeriggio, ma sul nostro locale che tornava in valle non sono saliti. Tutto tranquillo dunque, anche se ho fatto due volte i biglietti di ritorno, ma meglio di zero, per evitare multe.

E

speriamo zero punture di Trombicula

che ho già dato neh! 🤣

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Link utili:

Sentiero del Viandante: un percorso incantevole sul Lago di Como – Larius Way

Sentiero del Viandante: da Lecco ad Abbadia Lariana – Larius Way

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Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate 

Percorso visto da Abbadia

Stanchi?  No vero, alla prossima, quando faremo la TAPPA UNO: da Abbadia a Lierna …

eccoci, alla prima parte del percordo, clicca QUI

Una casa nei Cech (16) -mansarda/biblioteca-

Succede che a volte i miei articoli nascano da una lettura, anche solo di una paginetta di un libro, come sta succedendo anche per questo sulla “mansarda”.

L’ultimo che avevo pubblicato:  Locale attrezzi con portico  era stato ispirato da Salire in montagna di Mercalli, mentre, addirittura leggendo L’adolescente di Dostoevskij, avevo fatto conoscere la nostra soffitta.

Dunque quale lettura mi avrà fatto salire in mansarda?

E avvicinarmi alla vetrata, e fatto uscire sul terrazzo a guardare la valle? Quella valle che si allunga fra le le due catene di monti, percorsa dalla striscia luminosa del fiume Adda? O usciti da lassù la sera, quando la si vede attraverso lo sfavillio delle luci delle auto, che disegnano la strada che risale la Valtellina coi suoi tranquilli e luccicanti borghi?

La lettura ispiratrice, questa volta è Le anime morte di Nikolaj Gogol’.

Siamo nell’immenso territorio russo, non propriamente sulle Alpi italiane, ma ecco che, a pagina 251 :

“Come un gigantesco vallo di non so che smisurata fortezza, si spiegavano serpeggiando per mille e mille chilometrile le alture montuose. Maestosamente si sollevavano dalla sconfinata estensione delle pianure, qua con pareti brusche, là dolcemente arrotondate in una verde prominenza… E c’era un fiume che qua, fedele alle sue rive, seguiva le alture in tutte le sporgenze e le svolte, risplendere come di fuoco sotto il sole, nascondersi fra boschetti di betulle, di pioppi e d’ontani, e di là scorrer via trionfalmente, in compagnia di ponti, mulini e dighe… In cima poi, proprio sul cocuzzolo… una casa con un balcone e una grande finestra ad arco. E da questa, la vista dall’alto in basso, da quella sopraelevazione della casa verso l’orizzonte, era ancora più bella… Indifferente su quel balcone, non c’era ospite o visitatore che potesse restarci.” Ho riportato un pezzo della descrizione che mi ha ricordato il piccolo e panoramico terrazzo dove, anche da noi, gli ospiti non possono che distendere lo sguardo nelle varie direzioni e rallegrare lo spirito.

(se volete vedere meglio le foto cliccase un una e scorrete la galleria, senza ingrandire. Poi tornate al post con la freccia)

Ma, questo terrazzo e questa mansarda, dieci anni fa non c’erano, al loro posto era un vecchio solaio da anni abbandonato. Non era facile salirci, si doveva aprire il portone sulla scala nel vicolo, entrare nel fienile sconnesso e salire una scaletta di legno diventata poco sicura.

Ora si puo salire dall’interno della casa e, giunti nella soffitta (qui), si passa al locale dove prima c’era il solaio, trasformato ora in una stanza/biblioteca/studio, con un piccolo bagno e l’uscita sul terrazzo.

Facciamo un prima e dopo da solaio a mansarda/biblioteca?

Angolo sud:

Angolo ovest:

Angolo nord/est:

Angolo sud/est:

E il terrazzo?

E siamo senza solaio! Dove mantenere oggetti e alimenti grazie ad uno spazio asciutto e arioso? Dove riporre oggetti in disuso ma non da eliminare, dove ora? Eliminiamo questi spazi ritenendoli inutili rispetto ad una stanza in più dove ritirarci indisturbati godendo di luce e pace. Com’è mutato il nostro modo di vivere! Beh, certo che un po’ il compito di “solaio” anche la nostra mansarda l’ha mantenuto: qui abbiamo riposto in ordine libri e oggetti che non vengono più utilizzati, ma possono essere ancora utili. Questa casa non è sempre abitata, quindi vengono portati oggetti “in vacanza”, “in attesa” che torni il tempo e il bisogno di loro!

Una nota: fra il vecchio solaio delle foto sopra e la mansarda di oggi, c’è stato un periodo in cui lo spazio è stato utilizzato anche da noi come solaio. Sistemato il tetto e la soletta, ecco il solaio arioso… però era rimasto un po’ troppo polveroso e non ha mai avuto il mio interesse. Qualcuno invece lo utilizzava per i suoi giochi con le amiche… ho trovato solo una foto di questo periodo.

Intanto torniamo da Gogol’ che ci mostra differenti punti di vista su come prendere la vita.

Chissà  che penserebbe sul sistemare libri dove un tempo c’erano oggetti di utilità contadina: dal baule della biancheria di casa, magari quella bella, ai teli di canapa o lino per sostituire le parti usurate delle lenzuola di ogni giorno, a legname ancora buono per riparazioni, cestini, cappelli…

“… egli avrebbe ottenuto ad ogni costo che il contadino del suo villaggio, andando dietro all’aratro, leggesse nello stesso tempo il libro sui parafulmini di Franklin, o le geogiche di Virgilio, o un’analisi chimica dei terreni. Molte altre cose disse il colonnello sul modo di elevare la gente a un livello di vita felice.” (pag. 307)

Oppure leggiamo di un altro proprietario terriero al top dell’efficienza, siamo nel 1800 epoca zarista e dei servi della gleba, e a questo fa dire:

“Oh, voi siete amanti dei panorami? disse Kostanzoglo, e d’improvviso lo guardò severamente. -Badate, se correrete dietro ai panorami, rimarrete senza pane e senza panorami. Badate all’utilità, e non alla bellezza. La bellezza verrà da sé. … La natura ama la pazienza: e questa è una legge che ha imposto Iddio, il quale ama i pazienti.” (pag. 328)

Il commento su un altro proprietario, Konstantìn, molto istruito ma in rovina:
“Signore Iddio! Che incommensurabile distanza fra la conoscenza del mondo e l’arte di mettere a profitto questa conoscenza!” (pag. 331)

Ebbene tutti hanno ragione dal loro punto di vista, chissà come se la caverà il protagonista Cicikov, che sta viaggiando alla ricerca delle sue anime morte per poter dar vita al suo nuovo progetto di vita!?

E chissà se la piccola mansarda/biblioteca sarà stata una buona soluzione?  Noi in realtà abbiamo in mente anche un futuro di diverso utilizzo… seguendo bisogni e denari. Ma come si può programmare un futuro che varia in modo tanto rapido, come in questo nostro periodo storico? Intanto siamo soddisfatti della scelta fatta, errori si fanno sempre ma gioie già ne ha rese.

E restiamo in divenire per noi e senza conoscere il finale del romanzo di Gogol’ di cui mi mancano ancora cinquanta pagine!

Magari qualche lettore di questo post avrà concluso questo romanzo… io intanto ringrazio il grande autore per avermi fatto compagnia e stimolato a scrivere, che è anche un fare, oppure no? 😛

Un saluto da
“Gli imbianchini di Nozdrev”eseguito da Chagall per
Le anime morte di Gogol’ … e copiato da me

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Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate 

Il teatro e Chagall (parte 2)

Era veramente troppo impegnativo leggere il post sul teatro, ed eccolo diviso in due parti. La processione dell’Introduzione è lunga e merita spazio (QUI per rivederla).

Marc ChagallContinueremo qui a indagare il resto del lavoro fatto da Chagall al nuovo teatro ebraico di Mosca, nel 1920. Ho aggiunto anche qualche nuova informazione trovata sul libro Marc Chagall Il teatro dei sogni.

Nella sala erano situati, sulla parete di destra, i quattro pannelli raffiguranti le Arti personificate. Entrando, troviamo subito La Letteratura, dalla figura tutta bianca dello scriba-poeta; segue il Teatro con il Badchan, l’animatore di matrimoni ebrei; la Danza rappresentata da una gigantesca ballerina  e la Musica con un suo violinista verde, che non è il primo e non sarà l’ultimo dipinto da Chagall.

– Vediamoli uno alla volta:

La letteratura, 1920, tempera e caolino su tela, 216 × 81,3 cm – Galleria di Stato Tretjakov di Mosca

La Letteratura si manifesta in una immagine luminosa d’oro e blu nella quale si vede uno scriba della Torah intento a copiare a mano il sacro testo, indossando lo scialle della preghiera, ma questo sta scrivendo una fiaba ebraica, perciò la prima parola leggibile non è “in principio Dio creò il cielo e la terra” ma l’incipit di ogni fiaba ebraica che significa «Questo accadde una volta e soltanto una volta» (omologo ma molto più significativo del comune «C’era una volta»). Nell’ultima immagine da memorizzare Chagall ribadiva che l’origine della letteratura era quella, non la Bibbia, al tempo stesso ammettendo che la parola e il testo costituivano una parte fondamentale del teatro, tanto che sulla poltrona che un ragazzo sta portando si legge «DER T», il teatro: la nuova fondazione, la nuova sinagoga.

Chagall qui usa non solo le immagini e i colori, ma anche le parole per il suo messaggio: uno scrittore vorrebbe mettere in scena il suo dramma (il Dybbuk di Semën Akimovič An-skij) che inizia proprio in una Sinagoga… ma poi il protagonista muore. È un dramma!

Un poeta-sognatore e di un colore spettrale, scrive sulla pergamena “C’era una volta”
Una mucca anche lei bianca e un po’ malata chiama “Chagall”
Un piccolo artista risponde alla chiamata con la scritta “Il teatro”
(Le scritte sul dipinto sono in yiddish)
 
E io per capire meglio lo copio con uno schizzo sul quadernetto, sì sì, brutto ma utile 😉

Teatro, 1920, tempera e caolino su tela, 212 × 107,2 cm

La figura più importante e inquietante di tutte è il badchan, l’attore popolare, considerato da Chagall il vero protagonista del teatro ebraico, ovvero del Teatro in senso proprio. Qui è immensamente più alto delle altre figure che lo circondano e vi sono molti significativi dettagli figurativi e decorativi. Il pittore gioca sul contrasto tra la prima apparenza di questo “brutto” attore, vestito di nero come un corvo e apparentemente rigido come un manichino, e la sua capacità di emozionare e smuovere gli spettatori. Il badchan era una grande istituzione nel passato ebraico. Era un artista dell’insulto, un anti-rabbino, faceva piangere la sposa prima del matrimonio, come si vede qui, e poi il pallido sposo, e gli altri convitati, dicendo a tutti quanto sarebbe stato orribile il loro futuro. Sembrava che volesse rovinare il matrimonio, in realtà lo metteva alla prova e faceva intuire che il trascendimento del presente mondano, con le sue effimere gioie, stava nel suo rovescio.  «Un bravo badchan ti farà piangere finché non diventi cieco», ma la sua era anche una critica politica, dato che aveva la licenza di coprire di insulti i cittadini più ricchi e virtuosi della shtetl.

“Piangi sposa, piangi”
Succedeva nei matrimoni ebrei.
Il badchan, questo curioso personaggio, aveva il compito di saper far ridere la gente, ma anche farla piangere, ed era specializzato per le feste di matrimonio. Il badchan abitualmente si metteva su una sedia: questa è bella e colorata!
Io ho copiato gli sposi poco visibili, come fantasmini, perchè volevo scoprire il mistero. Lo sposo ride timidamente, lei piange, come le altre donne, proprio come ha voluto il sermone del cerimoniere. Ma c’è sempre rappresentato il dramma Dybbuk e nella sposa entra lo spirito del suo innamorato defunto ma non arreso. Lo si può vedere anche dal dipinto, meglio dalla mia copia (in testa, sotto il velo). E poi saranno guai!
 
Danza, 192o, tempera e caolino su tela, 214 × 108,5 cm

La Danza è una donna assai massiccia in abito contadino della festa, che volteggia accompagnata dall’orchestra klezmer. Ai suoi piedi si vede un uomo a testa in giù. L’atmosfera è allegra, con tracce di una canzone di matrimonio e un ragazzo che ripiega il baldacchino nuziale non per riporlo ma per portarlo velocemente nella casa dove ci sarà un’emergenza.

Attenzione alla sposa che sta ballando, non deve uscire dal cerchio giallo, pena la morte. Questo significa riuscire a non rispondere al richiamo del suo innamorato. No, non si tratta di Romeo e Giulietta, siamo sempre nel dramma ebreo “Dybbuk” che Chagall vorrebbe far rappresentare. Non trova consensi, allora lo dipinge: un teatro sulle pareti del Teatro.

E il gallo ai piedi della ballerina? E la casetta? E il ragazzo che trasporta il baldacchino nuziale facendo cadere una persona?
Questo dipinto di Chagall che presenta la Danza esce dai nostri stereotipi, ma a ben studiarlo, esce anche dal mondo reale…
È la tragedia che volge al termine…
 
Musica, 1920, tempera e caolino su tela, 213 × 104 cm
Completiamo con la Musica o meglio lo spirito della musica, qui rappresentato da una variante del violinista sul tetto. Sotto il suo abito s’intravede uno scialle di preghiera. Per Chagall la tradizione si autorappresentava in forme geometriche, quindi il cubismo ne era una logica articolazione figurale. In alto a destra si vede il quadrato nero di Malevič. Ma per rimuovere qualsiasi tentazione di solennità ecco in alto a sinistra un bambino che fa la cacca dietro una siepe. Come a dire che la nuova religiosità si sarebbe manifestata nondimeno all’insegna del grottesco e per ribadire la gioiosa complessità della vita. E chi sarà quel piccolo personaggio a sinistra che pare richiamare qualcuno agitando il violino come una clava?

“Il classico musicista sul tetto, (come scrive la storica dell’arte Ziva Amishai-Maisels) il musicista dalla triste musica soprannaturale non ha più i piedi per terra. Il tono malinconico della musica è accentuato dal viso verde. La musica svolgeva un ruolo chiave per l’atmosfera dell’opera teatrale, più misteriosa verso la fine del dramma e della parete. La figura in volo tuttavia non è più triste: simboleggia la sposa che, alla fine del dramma si unisce per sempre al suo innamorato. Lasciandosi dietro nuvole nere, entra in un regno di grande luce.” Nel piccolo particolare ho voluto “guardare meglio” la sposa che vola, (anche se per altri è Chagall) e magari, lì sotto il marito abbandonato la richiama? 

Così appariva la parete con i pannelli e il fregio sopra, che li completava e collegava. Nella foto è un allestimento per mostra, di cui ho modificato l’ordine, come da indicazioni di una studiosa.

Il fregio dunque completa i pannelli perchè si tratta di un Banchetto di nozze, delle nozze del dramma che Chagall sta allestendo nei suoi quadri. Vi sono cibi tradizionali: trecce di pane, pesci, brodo di pollo, pollo, frutta e vino. Ma accadono qui due cose strane: una che nei piatti c’è un uomo, l’innamorato defunto, in questo modo la sposa può averlo ingerito. E poi qui ci sono due banchetti, del tutto simili e capovolti, come se la sposa partecipasse a entrambi, uno terreno e uno celeste, come vuole la trama del Dybbuk. (Cliccateci sopra per vedere meglio i particolari e fateli scorrere)

Inoltre i pannelli sono collegati al fregio per affinità di colore (vedere immagine della parete)

– l’uomo con la faccia verde, nel piatto del primo pannello, si viene a trovare sopra al violinista verde;

– i piatti gialli con il pollo corrispondono al cerchio giallo della Danza:

– la zona scura e porpora più a destra è sopra il pannello nero e porpora del Teatro;

– l’uomo blu e il suo piatto riflettono lo sfondo blu dello scriba nella Letteratura.

So che è stata lunga la spiegazione, ma forse vi è parsa anche interessante?
Io sono stata stupendamente rapita da tanta genialità.

……………………

– Conclusione

Abbiamo così dato un occhio al grande lavoro di Chagall, e non a tutto, aveva dipinto anche il sipario,  le scenografie dello spettacolo e i costumi degli attori.

E la sera? Forse avrebbe potuto fermarsi a dormire a Mosca, ma Chagall scrive a questo proposito:

“Mentre lavoravo al teatro non dimenticavo che la mia famiglia abitava in un piccolo villaggio presso Mosca. Per arrivarci ci volevano ore di attesa, e di viaggio. Finalmente il treno si ferma e io scendo. Così tutti i giorni. La mattina rifaccio la stessa strada per tornare a Mosca.”

E con tutto quel lavoro divenne famoso e ricco? No, fu poi licenziato e per due anni chiese inutilmente agli uffici competenti di essere retribuito:

«Vorrei che mi venisse saldato, se possibile, il conto delle pitture murali eseguite per il teatro.

Mi hanno saldato con … un’infiammazione ai polmoni. Granovskij anche lui sorrideva.

Sono disperato.

Nè la Russia imperiale, nè la Russia dei Soviet hanno bisogno di me. Io sono incomprensibile per loro, straniero. Sono certo che Rembrandt m’ama. Sono stanco. Ritornerò [in Francia] con mia moglie, con mia figlia. Mi sdraierò accanto a voi.

E forse l’Europa mi amerà e, insieme a lei, mi amerà la mia Russia.”

Bella e Ida alla finestra”Marc  Chagall

…………………

Link utilizzato con informazioni illuminanti sulle pitture fatte da Chagal al teatro ebreo:

– Solomon Michoels e Veniamin Zuskin – III. Chagall l’estatico e Granovskij l’intellettuale – Accademia University Press (openedition.org)

– Il Teatro ebraico da camera di Mosca

Il libro/catalogo Marc Chagall Il teatro dei sogni, testi di Ziva Amishai-Maisels, Theodor Daubler, Gabriella Di Milia, Abram Efros, Aleksej P. Kovalev, Aleksandr Romm, Aleksandra Satskich, Tulliola Sparagni, Jakov Tugend’hold e Julija Zabrodina.

Su questo libro/catalogo di una mostra, si trovano interessanti informazioni di storici e critici dell’arte che lo hanno anche conosciuto. In particolare si trovano tutte le immagini molto belle e grandi di queste opere di Chagall.

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Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate 

Il teatro e Chagall (parte 1)

Un minuto di video “introduttivo” all’Introduzione al teatro ebraico con musica klezmer…

E ora con calma una cosa per volta

Osserviamo la lunghissima tela, detta appunto Introduzione al teatro ebraico dove il pittore Chagall racconta come ha avuto inizio questo innovato teatro, allestito all’insediarsi della nuova Repubblica, in seguito alla rivoluzione russa e alla guerra civile, che aveva rovesciato l’impero degli Zar.

 Marc Chagall, Introduzione al teatro ebraico, 1920 – tempera e caolino su tela, 284 x 787 cm – Galleria di Stato Tretjako

Scriveva su La mia vita, la sua autobiografia:

“Esasperato, mi sono gettato con accanimento sul soffitto e sui muri del Teatro di Mosca. Là sospira nell’oscurità la mia pittura murale. L’avete vista?

Schiumate pure, contemporanei!

In un modo o nell’altro, il mio primo alfabeto teatrale ha rimpinzato le vostre viscere.

Non sono modesto? Cederò la modestia a mia nonna, mi annoia.

Disprezzatemi, se vi pare.”

– Invaghita da colori e forme ho provato a copiare un pezzetto della sua moltitudine di figure. Mi pareva così di riuscire a calarmi meglio nei  personaggi raffigurati e nelle metafore da lui usate per veicolare i suoi intenti.

– Mi sono poi tuffata nel web alla ricerca di informazioni oltre a quelle già interessanti trovate sulla sua autobiografia:

“Lavorare per il teatro era da tempo il mio sogno.

Alla fine del mio soggiorno a Vitebsk, nel 1919, sono stato felice di ricevere l’invito di Granovskij e di Efros. Mi domandavano di lavorare per il nuovo teatro ebreo.

Ho fatto una pittura per il muro principale: l’Introduzione al nuovo teatro nazionale.

Gli altri muri di tramezzo, il soffitto e i fregi rappresentavano gli antenati dell’attore contemporaneo:
 un musicante, un buffone che rallegrava gli sponsali, una donna che danza,  un copista della Torah, il primo poeta sognatore,

I quattro pannelli sono sormontati da una striscia di simboli commestibili e terribili. È questo il fregio che rappresenta il Banchetto nuziale in cui, accanto a pesci, pani, frutta e galli vivi, si serve anche un amante defunto, a dimostrazione che il tema centrale del lavoro teatrale per Chagall era la messa in scena di un preciso dramma che tratta di un matrimonio un po’ particolare (il Dybbuk di S. An-Sky).

 

E infine una coppia volteggiante sulla scena che si trova sul fondo della sala, di fronte al palco: Amore sulla scena

dove eterei danzatori a grandezza naturale eseguono il pas-de-deux. Le due figure si distinguono appena. Molti dettagli e scritte sono sparsi nel quadro per rivelarci che in Chagall ci fosse l’intenzione di integrare il teatro classico a quello ebraico. Sullo sfondo, tra le forme geometriche, in alto a sx, è visibile un baldacchino matrimoniale ebraico. Per la cultura del suo tempo l’amore portava al matrimonio. In basso ci sono anche i due testimoni delle nozze: un suonatore di corno e un suggeritore. Troviamo anche un violino con una corda sola che se ne sta abbandonato tra le gambe dei ballerini. Chissà perchè?

 

– Cosa e chi dipinse Chagall sul grande telone dell’Introduzione?

 Ho trovato in internet due tabelle 
con spiegazioni illuminanti
(link a fine post)

Sempre dalla sua testimonianza diretta leggiamo:

Chagall lavora allo schizzo del telo

“Gli attori mi volevano bene. Chi spezzò il ghiaccio fu l’attore Michoels, affamato come tutti. Contemplava la mia pittura pregandomi di prestargli i miei schizzi. Voleva entrare in intimità con loro, abituarvisi e cercare di comprenderli. Dopo un paio di mesi mi annuncia tutto contento: «Sapete, li ho studiati, i vostri schizzi. Li ho capiti. E questo m’ha portato a trasformare completamente il mio personaggio. Adesso so come usare diversamente il mio corpo, il movimento, la parola. «Tutti mi guardano e non capiscono cosa sia successo» Come unica risposta gli sorrido. Anche lui sorride.”

……………………

– Osserviamo in modo detttagliato chi è stato disegnato nella lunga tela?

Troveremo questo attore Michoels per ben due volte, lo stesso Chagall portato in braccio dal critico Efron, che lo ha convinto a lavorare per il teatro, mentre offre la sua tavolozza al regista Granovskij, e tanti altri personaggi reali e simbolici.

La “tavolozza della nuova arte” che il pittore Chagall (7), portato letteralmente, in braccio al Goset da Efros (6) porge al regista Granovskij (8). Granovskij è in abiti borghesi ma con ornamenti popolari e stelle di Davide sulle gambe, balla una quadriglia in segno di predisposizione al combiamento. Il critico d’arte Abram Efros, nominato direttore letterario del teatro, era stato tra i primi a interessarsi a Chagall e nel tentativo di promuovere una effettiva innovazione presentò il pittore a Granovskij. «Chagall l’estatico e Granovskij l’intellettuale»

Le minuscole sezioni 1 e 2 sono in bianco e nero e si riferiscono ai primordi del teatro yiddish a Pietroburgo, situazione paradossale nella quale vi erano un pubblico di lavoratori senza teatro e un teatro senza pubblico, entrambi, in quella situazione, in cerca della propria “illuminazione”, scherzosamente simboleggiata da una lampadina. Tutto il resto del dipinto è a colori, colori percepibili nella “luce” portata dagli eventi storici.

Sul limite di sinistra si distingue un attore (è Michoels stesso) con il suo violino rotto in mano, simbolo del vecchio modo di recitare (4). Michoels è raffigurato come il primo attore del nuovo teatro. Indossa un abito di derivazione popolare ed è colto nell’atto di saltare, perché il nuovo teatro sarebbe stato dinamico, non declamatorio. L’attore si rivolge a una mucca (3) di un colore verde saturo, scelto da Chagall per sottolineare la natura rivoluzionaria e non realistica di quest’arte, con un gesto che rappresenta la sua volontà di imparare nuovamente dalla natura. Tutto ciò era rappresentato con un tono umoristico, che invitava a non esagerare nella proclamazione dei principi, tanto è vero che la mucca verde dice in yiddish: «Chagall fa il verso a Chagall»

La capra che si vede accanto a Michoels (5), simbolo della povertà delle shtetl (insediamenti con un’elevata percentuale di popolazione ebraica)  qui è giovane anche perché nel ricominciare Michoels si fa bambino.

La figura 17 rappresenta il silenzioso e gentile inserviente del teatro, Efraim, che ogni tanto entrava nella sala per portare al pittore, intento al proprio lavoro dalla mattina alla sera, un bicchiere di latte allungato con l’acqua.

Nei dipinti si trovano diverse parole e frasi sparse qui e là, scritte in uno yiddish russificato e con l’alfabeto ebraico, a volte invertite o abbreviate. Al punto 10 si leggono i nomi di Granovskij, Chagall ed Efros, la parola «Rivoluzione!» e un verso di Majakovskij «Forza! Gettiamo in avanti la nostra gamba sinistra!», vicino al punto 12 è scritto «Teatro ebraico da camera», e al 13 dove la tavola dei Dieci Comandamenti è proposta su un inconsueto sfondo rosso e circondata da alcuni oggetti presenti nelle sinagoghe. Troviamo anche l’onnipresente ombrello di Chagall, il cui significato esplicito per tutti gli ebrei era «Che Dio ci protegga!».

 

Chagall si ispirava agli usi e costumi anche folli e osceni del popolo delle shtetl e li celebrava come elementi fondamentali di una nuova cultura rivoluzionaria. Ne appaiono alcuni nel dipinto maggiore. Su un lato è raffigurato un ragazzo circonciso (del mondo pre-rivoluzionario) che fa la pipì addosso a un maiale (53)

Al centro, in uno spazio che sembra un palcoscenico illuminato, un angelo annuncia l’inizio dello spettacolo suonando la tromba (20) e l’ orchestra klezmer suona (21) mentre Michoels, con il costume blu entra in scena con un’acrobazia (22). Nei pressi staziona un compunto violinista con cappello da clown. Il luogo è definito «tempio di arte scintillante» (27). Verso il nuovo teatro convergono tre clown, incuranti dei tradizionalisti che li additano con riprovazione, tre autori – Mendele Moicher Sforim, Isaac Leyb Peretz e Sholem Aleichem (30-33) – e una coppia di attori, la cui donna potrebbe essere la già famosa Sara Rotbaum (34).

Chagall voleva che la propria opera fosse anche di buon auspicio: la mucca felice che dispensa il proprio “sangue verde” (39) allude non solo alla consapevolezza di avere compiuto la missione di trasformazione culturale. Ciò senza nascondersi le incognite e le difficoltà, come si evince da un’altra figura che tiene un piede in un catino (40). Potrebbe trattarsi di Granovskij, ma più probabilmente rappresenta tutto il teatro e l’acqua di quel catino potrebbe essere tanto l’acqua calda ristoratrice che consola il viandante quanto l’acqua fredda utilizzata dagli studenti per restare svegli e lucidi durante lo studio notturno. Dalle figure dal 49 al 51, nelle quali si vede uno Chagall che si allontana dalla propria famiglia religiosa per intraprendere il cammino più autentico dell’arte, cammino che, come in tutta la sua pittura, porta sul tetto delle case, il luogo in cui si rifugia ogni “grande pazzo”, o artista di genio. Nella parte superiore dell’Introduzione si vede la vagina sacra, la genesi della vita, venerata da mani ebraiche (37).

……………………

L’articolo era troppo lungo, quindi ?
continua nel prossimo con la presentazione arricchita dei quattro pannelli e del fregio.

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Link utilizzato con informazioni illuminanti sulle pitture fatte da Chagal al teatro ebreo

Solomon Michoels e Veniamin Zuskin – III. Chagall l’estatico e Granovskij l’intellettuale – Accademia University Press (openedition.org)

Marc ChagallAggiungo un bel libro/catalogo di una mostra, su cui leggere interessanti informazioni di storici e critici dell’arte che lo hanno anche conosciuto. In particolare si trovano tutte le immagini molto belle e grandi di queste opere di Chagall osservate anche da me in questo post:

Marc Chagall Il teatro dei sogni, testi di Ziva Amishai-Maisels, Theodor Daubler, Gabriella Di Milia, Abram Efros, Aleksej P. Kovalev, Aleksandr Romm, Aleksandra Satskich, Tulliola Sparagni, Jakov Tugend’hold e Julija Zabrodina.

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 Ciao a Chagall, e alla sua caprettaSe vuoi leggere il post successivo lo trovi

QUI

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Maria Valenti/Alicemate 

La pioggia di Chagall, a Venezia

Succedeva a Venezia domenica 5 e lunedì 6 marzo 2023, e anche nei giorni precedenti e successivi.

Venezia città surreale / labirinto di strade di acqua /

sbarrate da muri /

labirinto di pietre / che finiscono in acqua /

che ricercano ponti / e riposano in campi /

o esplodono in piazze.

Palazzo Venier dei Leoni

Collezione Peggy Guggenheim. Andiamo al palazzo rimasto villa e una ricca americana ne ha fatto un museo e tra due vetrate sul Canal Grande sta appesa La Pioggia una tela dipinta a Parigi nel 1911 da un giovane Chagall immerso nella fame di arte e di cibo.

La sua arte è rifugio, è sogno e bisogno. È nostalgia dei suoi luoghi lontani, le casette di Vitebsk, gli animali e gli alberi fioriti. E dipinge con sognante precisione la vita di ogni giorno con i soliti problemi e la pioggia che si annuncia.

Eccomi al museo! Anch’io mi riparo come posso, e resto a guardare la scena: chi esce con l’ombrello, chi striscia sotto al tetto, chi fa pipì stimolata dall’umidità. E poi là in alto un uomo scaccia una capra, bisogna farlo, qualche “capro espiatorio” è necessario per trovare pace. E il popolo ebreo lo sa quante volte gli tocca.

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Ci allarghiamo un po’?

Di questo periodo parigino di Chagall abbiamo altre opere che raccontano il mondo russo di cui l’artista sente il richiamo e che rappresenta usando tecniche e insegnamenti della grande Parigi, che sarà anche il soggetto di molti suoi quadri.

Il ponte di Passy e la Tour Eiffel -1911-

Vi mostro due pitture della sua terra natia, eseguite in questo periodo, le ho copiate in piccole dimensioni anch’io, perchè? Lo dico sempre, per conoscere e poter assorbire un po’ delle forti passioni che guidano gli artisti.

Io e il villaggio Ecco di nuovo Vitebsk con i suoi abitanti in momenti quotidiani, gli animali preziosi e amici, l’albero fiorito… il tutto rivisitato e ripresentato a sè e al mondo.

“La testa dell’agnello, il cui profilo crea spazio per una scena di mungitura, case e uomini capovolti, proporzioni che si contrappongono a qualsiasi esperienza,… tutti questi elementi rappresentano una realtà al di là del mondo visibile. L’immaginazione del ricordo diventa simbolo…” (da Chagall di Ingo e Rainer)

La presa di tabacco Ancora la cultura ebraica con pratiche e abitudini che hanno accompagnato la sua crescita.

“Il soggetto evoca il proprio paese. La figura solenne dell’ebreo barbuto e ricciuto, filatteri e stelle di Davide sullo sfondo, il libro con segni grafici ebraici evocano una scena familiare, alla quale il colore fornisce nel contempo un carattere di visione. Nella sua alternanza di distacco e contiguità, fra vita quotidiana e caratteri esotici, esso è espressione di nostalgia. Il nome dell’artista, riportato in caratteri ebraici sul libro aperto sul tavolo, evidenzia il desiderio dell’artista di rivedere la propria patria.” (da Chagall di Ingo e Rainer)

Condivido, come conclusione, la descrizione dell’edizione italiana del bel libro con foto:  MARC CHAGALL La pittura come poesia di Rainer Metzger e Ingo F. Walther, da cui ho tratto alcune utili informazioni:

Il pittore russo Marc Chagall (1887-1985) è conosciuto come il pittore poeta per antonomasia: i suoi quadri profondamente intrisi di mitologia e misticismo, si ispirano ai sogni e alle novelle della tradizione giudaica russa: le immagini fanno rivivere la nativa Vitebsk e i grandi avvenimenti della vita, nascita, matrimonio, morte. Cielo e terra si fondono e si confondono mentre animali, uomini e vita si mescolano in un mondo senza gravità.

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Maria Valenti/Alicemate 

I vecchi di Chagall

I vecchi nei dipinti? Sì!

– io e Il Rabbino n°2 –

Non è per una mia particolarte attenzione agli anziani che scrivo di loro, tuttavia certe volte possono essere interessanti anche solo perchè hanno maggior tempo disponibile e, se va bene, anche tanto da raccontare o almeno da mostrare.

E in questo caso, l’interesse ai vecchi è stato dato proprio dal grande artista Marc Chagall!

Chagall ha dipinto talmente tanto che avrei potuto scegliere sicuramente di scrivere sui suoi personaggi in volo, o sulla sua città natale Vitebsk, su Parigi, o sui violini, o sui numerosi animali che ha  rappresentato in quantità.

Ma, sono stata a Venezia e ho visitato ben due gallerie di arte moderna perché volevo vedere dal vero qualche opera di questo pittore, che ho “incontrato” per caso qualche mese fa e non ho più lasciato (ne ho scritto qui).

Nel Museo di Ca’ Pesaro di Venezia -Galleria Internazionale d’Arte Moderna- è presente un’importante opera, quella del Rabbino n° 2 o Rabbino di Vitebsk del 1914, olio su tela, 104 x 84 cm.

Già prima di partire avevo osservato questo Rabbino. Certo è sempre meglio prepararsi un po’ …

Che significano la scatolina legata sulla fronte e l’altra legata al braccio sinistro con tanta cura da sembrare un decoro? Sono i tefillìn (o filatteri) e contengono le preghiere del mattino.

E sul capo una coppola, è la kippà blu, la tipica copertura rituale che i maschi ebrei portano in testa, per rispettare la prescrizione di non presentarsi a capo scoperto dinanzi a Dio.

E il mantello bianco e nero sulle spalle? È il tallìt, lo scialle rettangolare di lana o seta che i fedeli maschi indossano per la preghiera.

Gli occhi piccoli e lucidi, propri degli anziani, sono malinconici ma anche vivaci e la bocca nell’atto di salmodiare.

Lo sfondo è stranamente vuoto e silenzioso se confrontato alle opere di questo pittore, tutta l’attenzione è nella preghiera.

Ora il quadro l’ho visto e ne sono stata anche un po’ emozionata. Un Rabbino non richiama per nulla la ma esperienza, non sono ebrea e non conosco le loro pratiche religiose nè le loro tradizioni, ma sto conoscendo con grande stupore, attraverso i numerosi dipinti e anche alcuni scritti, questo artista tanto capace di raccontarsi.

Su “La mia vita”, la sua autobiografia dei primi trentacinque anni, dove racconta con pennellate di parole anche cosa e perchè dipingeva, a pagina 122 scriveva:

– Dove, dove sono? Io non ho visto che Pietrogrado, Mosca, il piccolo sobborgo di Lyozno e Vitebsk.

Quest’ultimo è un paese del tutto a sè; una città singolare, una città infelice, una città noiosa. […]

  Ebreo in verde 1914

Non è che la mia città, la mia, che ho ritrovato.

Vi ritorno con emozione. Fu in quell’epoca che ho dipinto la serie di Vitebsk del 1914. Dipingevo tutto quello che mi capitava sotto gli occhi. […]

Ecco: a tavola, davanti al samovar, addossato alla sedia, è chino un umile vecchio. Lo interrogo con lo sguardo: – Chi siete?  […]

– Ascoltate, venite, vi prego, a casa mia. Farò di voi… Come dire? … Come spiegargli? Ho paura che si alzi e se ne vada. È venuto, si è seduto su una sedia e si è immediatamente addormentato.

Avete visto il vecchio in verde che ho dipinto? È lui.

Rabbino n. 2 1914

Un altro vegliardo passa davanti a casa mia. Capelli grigi, espressione arcigna. Un sacco sulle spalle.

Mi chiedo: sarà poi capace di aprir bocca per implorare l’elemosina?

Difatti non parla. Entra e si tiene discretamente sulla soglia. Vi resta a lungo. E se non gli si dà niente, esce, com’è venuto, senza dir parola.

– Sentite – gli dico riposatevi un po’. Sedetevi. Così. Per voi è lo stesso, vero? Vi riposerete. Vi darò venti copechi. Dovete solo indossare l’abito delle preghiere di mio padre e star seduto.

Avete visto a casa mia quel vecchio in preghiera? È lui.

L’ebreo in rosa 1914-15

Era bello quando si poteva lavorare in pace. A volte avevo di fronte una figura così tragica e vecchia da sembrare un angelo.

Ma non resistevo più di mezz’ora… Puzzava troppo.

– È finito signore, potete andare.

Avete visto il mio vecchio che legge? È lui.

Dipingevo, dipingevo…

In realtà l’ultimo vecchio in rosa non pare in lettura, ma tutti e tre sono stati dipinti nel periodo che lui cita. Ho trovato un ebreo che pare in lettura ma è del 1913, chissà.

Altri anziani dipinti da Chagall in quel periodo:

E altri vecchi, rabbini, ebrei… che stanno sopra i tetti di Vitebsk, che fuggono o suonano…

Ma della sua città potrei parlarne in un prossimo post, presentandovi l’altro quadro di Chagall visto al museo Peggy Guggenheim

ed eccolo qui:

La pioggia di Chagall a Venezia

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Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate 

 

STORIE DALL’ALTIPIANO

Scrive Eraldo Affinati nel sagggio introduttivo di quest’opera che ha curato e organizzato con lo stesso autore:

“Per raggiungere Mario Rigoni Stern, ad Asiago, ho fatto un lungo giro. La prima tappa a Volgograd (Stalingrado)… Non volevo conoscere lo scrittore, che mi aspettava puntuale all’imbocco del sentiero verso monte Zebio, senza essermi almeno bagnato le mani nel Don.”

Io non ho fatto un giro tanto lungo, ma almeno ad Asiago sono stata (ne ho parlato qui), e poi mi sono incamminata nelle sue storie, ho viaggiato moltissimo con lui, principalmente nei paesi dell’Est Europa. L’ho seguito anche in Portogallo, a Roma, Padova… Sui monti di Aosta e Torino mi è stato difficile, ma dove non arriva la realtà reale o virtuale, riesce l’immaginazione.  E molto ho guardato la sua terra, i suoi boschi, i suoi animali… attraverso i suoi occhi e il suo cuore!

Al termine di ogni libro sono abituata a scrivere qualcosa, mi pare di lasciare un saluto prima di staccarmi…

Siccome questo volume dei Meridiani raccoglie molti scritti, ad ognuno ho lasciavo un mio “saluto”, e  ora li metterò tutti qui. So che Mario Rigoni Stern apprezzerebbe il mio piccolo impegno, so che lo farebbe perchè io ho apprezzato, stimato, applaudito il suo raccontare e ancor di più il suo vivere. E purtroppo mi sono anche indignata e ho sofferto con lui e con i suoi personaggi.

La prima parte del volume raccoglie i suoi romanzi, la seconda i racconti e termina con un libretto dal titolo L’ultima partita a carte, una briscola senza speranze.

Ecco i "saluti/commenti" lasciati con la relativa data di pubblicazione

ROMANZI -La trilogia dell’Altipiano- Come la vita dell’autore è fatta di molto CAMMINARE, anch’io sono in cammino nella lettura della sua opera.

ROMANZI 1- Storia di Tönle – Finito il 4 novembre 2022 (ricordiamo che il 4 novembre 1918 fu proclamata la fine della prima guerra mondiale), io ho finito questo primo romanzo contenuto nel volume Storie dall’Altipiano: rapita, troppo, lo rileggerò! In giornata sono partita per l’Altipiano di Asiago dove il romanzo è ambientato e dove abitava il suo autore. Camminerò sui passi di Mario Rigoni Stern e del suo personaggio Tönle realmente vissuto, anche se non conosciuto direttamente dall’autore, ma da racconti di familiari e conoscenti. In contrada Busa potrebbe essere stata la casa di Tönle. (4 nov 2022)

Le mie patate dell’Altipiano di Asiago, chissà se sono quelle di Tönle?
“Quell’anno, sulla via del ritorno, si fermò in Austria presso la famiglia di contadini dove aveva lavorato per la semina delle patate e, visto il raccolto eccezionalmente abbondante e la qualità, ne chiese una decina di chili da portare a casa come semenza. Erano patate con la scorza scura e liscia, che quasi dava sul violetto, e con la pasta bianca e compatta… Alla vigilia di quel Natale arrivò a casa con pochi Gulden d’argento ma con una razza di patate che poi per tanti e tanti anni diede buoni raccolti e si diffuse tra le nostre montagne.” … (da Storia di Tönle di M. Rigoni Stern)

ROMANZI 2- L’anno della vittoria Ho terminato questo secondo romanzo (oggi 10 novembre 2022), è la continuazione del precedente Storia di Tönle, anche se scritto diversi anni dopo. La vittoria di cui si parla è quella della Prima guerra mondiale (1915-1918) Cosa posso dire? Mi viene da piangere dalla rabbia per quanto possa essere doloroso e faticoso riprendere a vivere anche “da vincitori”! Ma poi chi ha vinto? Cosa ha vinto la gente? E questa gente sfollata? Gente che ha perso vite, casa, lavoro, prati, boschi e persino i semi nella terra! Gente che torna a casa e trova morti da seppellire, ordigni di morte da non toccare, attrezzi buoni… da non rubare! “Siete testoni, siete proprio testoni; dovete studiare, dovete leggere e non solo lavorare come muli”. Così parla Mosè Tripp che è stato esule a Torino e ha anche imparato qualcosa di diverso e cerca di farsi ascoltare.   (10 nov 2022)

ROMANZI 3- Le stagioni di Giacomo Eccomi, ieri sera 13 novembre 2022, ho terminato il terzo romanzo della trilogia dell’Altipiano. Questo di Giacomo è la storia di un’amicizia, un romanzo di formazione in un preciso momento storico. Diventare grandi è sempre un’impresa! Diventare grandi fra due guerre non è proprio impresa facile! E quando dopo tutta questa fatica si spegne il tuo progetto di vita? Questo è successo a Giacomo, amico di Mario, il narratore/scrittore; Giacomo innamorato di Irene, la sorellina di Matteo, il protagonista del romanzo precedente di cui collega e continua il racconto della trilogia. Matteo lascerà il paese? Giacomo combatterà in Russia come il suo amico Mario? Torneranno a baita? Sappiamo che Mario Rigoni Stern è tornato e ha potuto raccontarci tanti fatti accaduti a lui, ai suoi compagni e alla sua gente.    (13 nov 2022)

Un recuperante dell’altopiano (dal film di Olmi)

ROMANZI 4- Quota Albania
Il quarto romanzo, dopo la trilogia.
“El crapun ha dichiarato la guerra e a Roma urlano come matti!” (giugno 1940)
Il racconto di Mario Rigoni Stern è assolutamente capace di portarti nel disagio più duro di una guerra fuori da ogni immaginazione.
Che sia ai confini francesi o sui monti di Albania contro i greci, per alleanze e ambizioni non sue, ma con la forza della sua giovane vita che lotta ai limiti della resistenza. Incantato da laghi da presepe,

Rifornimenti (dal web)

atterrito da luoghi da orrido, godendo prati dipinti e fuggendo da fanghi mortali.
Pare impossibile sia successo! Il clima estremo, il cibo indecente e ogni tanto “la befana del duce”.
Ma è avvenuto veramente tutto questo?!
Ecco come entrare nella storia con tutto il coinvolgimento fisico e mentale, sì perché è storia con luoghi, date, nomi di colonnelli e ministri, e nomi di soldati che muoiono in un prato a primavera senza sapere il perché. “Era la sera del 22 aprile 1941 e venne annunciato l’armistizio. Si gridava: “È finita!”… se veramente fosse stata finita”
(20 nov 2022)

ROMANZI 5- Il sergente nella neve
Questo romanzo l’ho letto in settembre scorso e la recenzione l’ho scritta allora:
RACCONTI 1) LA PRIMA GUERRA MONDIALE
Tredici racconti tratti per la maggior parte dalla raccolta “Tra due guerre”. Ho trovato citati altri autori, incontri e tanti artefici della ricostruzione dell’Altipiano di Asiago. Alcuni riferimenti sono molto dettagliati e possono essere di minor interesse ma stanno a dimostrare che quanto è scritto è documentato e realmente avvenuto.
Ha parlato anche di altri testimoni della prima guerra mondiale in Italia: del suo amico Emilio Lussu di cui leggerò, per ora ho visto il film di Franco Rosi “Uomini contro“, liberamente tratto dal suo libro “Un anno sull’Altipiano” e il famoso Ernest Heminway. Anche di lui ho visto il film “Addio alle armi” tratto dal suo romanzo che sicuramente leggerò.
Poi ci racconta della sua gioia a sapere che altri scrittori parlino del suo Altipiano e allora ne ho scritto anch’io (come già citato sopra Il cacciatore sull’altipiano)
Che altro aggiungere? Mi è piaciuto particolarmente il racconto “Amore di confine”: uno sguardo sull”Altipiano in inverno, ma senza guerra! Mi ha ispirato il presepe di Natale. il Natale è stato sul tema della mia lettura, quindi, ma questa è un’altra storia  😉
RACCONTI 2) LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Ed ecco i racconti dei suoi giovani anni in guerra e attraverso le guerre, i suoi viaggi e quelli di altri, raccolti e fermati almeno sulla carta. I tre viaggi in Russia, di cui il terzo con la moglie, come un turista speciale che vuole salutare i suoi compagni rimasti là nell’ansa del Don, fra il Don e il Donec, fra Russia e Ucraina. Posti dove vorrebbe restare a lungo per risentire le voci di chi non ha più rivisto…
E poi le riflessioni acute e precise da psicoterapeuta di se stesso che trovano anche spiegazioni alla forza, alla volontà, alle fragilità. La scoperta del perchè di sofferenze senza difese di chi diventa “spettatore” e subisce il suo destino e di quella sofferenza inconsciamente tollerata invece, di chi come “attore” riesce a lottare per il suo cammino.
E siamo anche negli stessi luoghi dove ora combattono ucraini e russi. Che tristezza non riuscire a vivere senza distruggersi!
RACCONTI 3) LA PRIGIONIA
Sono ubriaca, estraniata da me per essere là dove lui è stato, dove lui ha sofferto con lucidità, dove non si ribellava per autocontrollo, dove non fuggiva per non nuocere a sè e agli altri. Si fanno pazzie quando si è soli, quando si è responsabili solo di se stessi. E di te stesso decidi di fare quello che puoi, che vuoi, che da tanto desideri, anche a costo di morire… e la fortuna ti aiuta ma ti prende anche in giro, ti umilia anche lei: sta fetente! (qui il mio post con le cartine dove ho seguito La prigionia di Mario Rigoni Stern)
RACCONTI 4) LA RESISTENZA
Mario Rigoni Stern non ha partecipato alla resistenza partigiana perchè era prigioniero nei lager tedeschi per aver rifiutato di combattere dopo l’armistizio dell’8 settembre.
I racconti che scrisse sono testimonianze raccolte. Molto bello “Un Natale del 1945” in cui si assiste alla fatica del perdono quando ancora le ferite sono aperte. Pare ne stiano facendo un film.
Natale 45 pdf     (20 dic 2022)
RACCONTI 5) DIURNISTA DI TERZA CATEGORIA

La nuova vita (dal web)

Dopo i durissimi anni di guerra e prigionia, tornato a casa in gravi condizioni di salute, fatica a riprendere la vita ed è anche in difficoltà economiche. Riesce ad ottenere un lavoro all’ufficio delle imposte dirette e poi al catasto, come Diurnista di terza categoria, supererà con grande impegno un concorso per migliorare la sua condizione e quella della sua giovane famiglia… ma non ha il favore e non permette favoritismi. Onestamente riuscirà a lavorare per avere uno stipendio e saprà anche dare sostegno a chi ne ha più bisogno di lui. Belle, crude ma anche poetiche, le testimonianze di questo squallido periodo lavorativo lasciateci nei suoi racconti. (Dalla cronologia leggo che ha lavorato per 25 anni come dipendente).    (23 dic 2022)
RACCONTI 6) STORIE NATURALI
Bellissime e concrete testimonianze di vita in relazione stretta con la natura dei boschi e dei suoi abitanti. Selvatici che convivono seppure in modo autonomo e a volte di conflitto o meglio in competizione, ma non per lui. Per Mario Rigoni la vita con la selvatichezza pare essere la più vera anche per l’uomo, difficile ma anche la più libera delle vite possibili. Semplice e complessa allo stesso momento, basata su regole chiare anche se non scritte, per le creature che cercano per sè e la propria specie di crescere e riprodursi al meglio. Molte sono le conoscenze del suo ambiente dell’Altipiano, degli animali che lo popolano e che sono a lui vicini. Belle le pagine sugli insetti, in particolare sulle sue api, a cui collabora alla sopravvivenza e alla produzione del prezioso miele. (27 dic 2022)
In questa raccolta si trova anche il libretto Arboreto Salvatico che io avevo già letto e salutato a ottobre:
Si possono leggere tutti i 20 alberi che Mario Rigoni Stern ci presenta, con le storie che l’autore ha vissuto con loro e le informazioni scientifiche e letterarie che poi ha raccolto su di loro.
Sì, quando si vuol bene a qualcuno si vuol sapere tutto di lui, e si presta attenzione a quello che fa, che dice, che predilige ecc. Questi 20 alberi sono come amici per Rigoni.
Ma non a tutti noi questi 20 alberi sono amici, alcuni forse, altri sono sconosciuti, quindi l’interesse nella lettura varia. Ecco che questo libretto diventa un manuale da consultare al bisogno, leggero e più stimolante di un testo didattico perchè è scritto con sentimento.   (22 ott 2022)
Amici del giardino, del campo, del bosco... miei ;)
RACCONTI 7) STORIE DALL’EST
Storie molto belle tratte dai viaggi all’est fatti da Mario Rigoni Stern: in Ucraina, in Bielorussia, in Russia. Un misto di racconti di un uomo che vede i posti in cui ha vissuto la guerra, posti che hanno mantenuto le caratteristiche passate, dove i resti della guerra sono ancora vivi in gavette o lettere ritrovate che testimoniano il passaggio, magari l’ultimo momento di vita di un figlio, di un padre. Memorie conservate dai contadini russi perchè possano tornare a casa, e altre storie che ci mostrano le bellezze risorte dopo le distruzioni o le belle città che si offrono ai turisti: San Pietroburgo, Mosca, Kiev, Minsk con giardini, musei, palazzi, chiese e fabbriche e cimiteri dove la gente lascia fiori, recita poesie di Esenin e suona la chitarra. Ma le visite per Mario più interessanti erano quelle alle fattorie, alle cooperative agricole, di cui ci racconta e alla cui mensa si ristora.
Una curiosità: passando per Vitebsk, Mario ha immaginato un quadro di Chagall, e io ho scoperto un artista ebreo nato in Bielorussia.

Ho scritto del mio incontro col famoso artista, se volete leggere al link sotto.
Sono Marc Chagall    (9 gen 2023)

RACCONTI 8) STORIE DALL’EUROPA
In Portogallo in villaggi speduti; in Olanda, questa terra rubata all’acqua con tanti uccelli; in Scandinavia da dove partirono i suoi antenati: i Cimbri. A Zagabria nel 1998 dove c’è la risistemazion dopo le guerre della ex iugoslavia. Gli altri quattro racconti sono ambientati in Piemonte e Valle d’Aosta, dove il giovane autore divenne soldato sciatore rocciatore, uno dei cinque su quaranta arrivati in caserma che  supera la selezione, ma che poi l’aspetterà la guerra a pochi chilometri da lì…
RACCONTI 9) STORIE DALL’ALTIPIANO
In questo ultimo gruppo di racconti contenuti nella raccolta, Mario Rigoni Stern ci parla del suo amato Altipiano di Asiago: le sue case, la sua comunità con le tradizioni e le innovazioni, i suoi boschi, monti, malghe, animali selvatici e domestici. In particolare si coglie la sua passione per la caccia, i suoi fedeli cani e il gallo cedrone o urogallo che amava particolarmente. Di questo uccello così particolare ne scrive nel bellissimo “Una lettera dall’Australia” a cui ho collegato, per somiglianza di lotta e accanimento, al famoso “Moby Dick”, ma ancor di più alla caccia al pesce marlin descritta da Hemingwai in “Il vecchio e il mare”. Tutte storie di uomini che conoscono il valore e la forza della natura e nel bene e nel male ne accettano la sfida. Di questo ho accennato anche in “Il bosco degli urogalli” che contiene questo stesso racconto.
Ci parla anche di amicizie, di letture, di nonni e zii d’America, poco di figli e moglie… forse perché non entrati nella sua storia, ma ancora parte dei suoi giorni?

 

Sono Marc Chagall

Eccomi, sono Marc Chagall. Gli autoritratti non mi mancano. Ne ho scelto due diversi che vi mostreranno alcune specificità della mia persona. 

“Autoritratto con sette dita” (1912-1913 olio su tela 128×107cm Stedelijk Museum, Amsterdam)

“Autoritratto di Marc Chagall” (1959-1968 olio su tela 61.5×51cm Galleria degli Uffizi Firenze)

Sono un pittore e lo sapete, perchè è per questo che sono diventato famoso. Disegnare è stata una passione fin da piccolo, anche se non è stato facile per me scegliere questa strada essendo un ebreo a cui la carriera artistica era espressamente vietata dalla Torah. Che pittore sono diventato, certo uno che usa disegno e colori come fossero il mio alfabeto per comunicare e raccontare: emozioni, affetti, sogni, paure, spesso con più vignette nella stessa scena… mi piaceva molto anche la letteratura!

Che sono ebreo si può scoprire anche dalla mano a sette dita che accarezza la tela sul cavalletto dove sono dipinti simboli ebraici come la capra, la Sinagoga, il rotolo della Torah.

Sono russo di nascita, sono nato nel 1887 al tempo dell’Impero degli zar, in un giorno in cui la mia gente di Liozna, uno shtetl alle porte di Vitebsk, subiva un pogrom dei cosacchi che, dopo aver dato alle fiamme la sinagoga, percorrevano le vie delle zone ebraiche prendendo a sciabolate tutti quelli che incontravano. Eppure, nonostante queste persecuzioni, ho amato la mia terra natale e lo dimostro con la frequente rappresentazione del gallo, simbolo della Russia, di luce e potenza.

Sono stato molto innamorato e anche molto sposato: molte donne sono rappresentate nelle mie opere, in particolare Bella, la mia adorata e indimenticabile prima moglie e compagna, che mi ha procurato felici voli e dolci attenzioni. Nel secondo autoritratto ho raffigurato il gallo e l’amata sposa sopra alla mia testa: Bella e la terra di Russia “le avevo sempre in testa!”

Sono francese di adozione, quante immagini di Parigi! Qui sono stato da giovane per apprendere la pittura, come si vede nel primo quadro con la tour Eiffel dalla finestra, e poi sono tornato come esule in seguito alla rivoluzione russa e per le persecuzioni naziste.  Mi sono poi stabilito definitivamente in Francia, dopo la pausa in America, come si vede nel secondo quadro in cui riconoscerete la Cattedrale di Notre Dame e i ponti sulla Senna.  Questo mio autoritratto l’ho donato al Museo degli Uffizi di Firenze, dove oggi lo potete trovare.

Ecco, Chagall si è presentato, ma chissà quante altre cose potremmo e riusciremo a leggere sulle sue numerose tele, e cartoni, fogli, vetrate.  Una quantità di emozioni e sentimenti, messaggi felici e dolorosi, di spiritualità e quotidianità. E se saremo capaci troveremo la sua poesia, i sogni e le canzoni.

Ok, non esageriamo adesso! Vi farò vedere alcune sue opere che ho “letto” un po’ meglio, oltre alle decine e  decine che ho “sfogliato”.

Ma come mai questo mio interesse per il grande pittore? Poi vi dirò anche questo.

Quando ho cominciato a digitare in internet il nome di Chagall, quando ho scoperto dove è nato, vissuto, come ha vissuto e cosa ha dipinto, eravamo a pochi giorni dalla fine dell’anno, il Natale ormai soddisfatto con presepi, alberi, regali e soprese.

Ero rapita da questo incontro, non riuscivo a mettere ordine nell’immenso suo colorare il mondo. Scaricavo quadri, li rinominavo, li confrontavo. Mi meravigliavano, mi confondevano, mi infastidivano anche: erano troppi, simili e diversi, colorati, delicati. Grotteschi anche mi sembravano, per gli strani accostamenti e le assurde figure di animali e cose presentate. Ma perchè? Perchè?

Bene, è proprio vero che se conosci capisci e apprezzi, e ti stupisci e ti avvicini e ti affezioni.
Per la fine dell’anno ho fatto gli auguri con una sua dolcissima creazione “Sulla città”

Buon anno in leggerezza!
Superiamo i limiti, sfidiamo la pesantezza, le costrizioni…
Via libera all’immaginazione, alla gentilezza, al sogno, alla fantasia, alla vivacità, alla potenza dell’amore…
 

Sulla città, 1918. Olio su tela di 56 x 45 cm. Galleria Tretyakov, Mosca.

Beh, che ne dite? È un buon augurio? Certo che servirebbe spesso un po’ di magia alla Mary Poppins, ma anche solo viaggiare un po’ con la fantasia sopra ai disastri di questa vita, ma per fare questo Chagall come fa? Usa l’amore, un amore speciale, capace di dare tanta forza da far superare ogni problema e ogni pochezza terrena. Ecco i due innamorati che possono evadere dal villaggio, dalle palizzate, dalle piccole miserie quotidiane per cercare la loro libertà! Ancora auguri!

Adesso gioco anch’io con l’immaginazione, e un po’ di applicazione, per scoprire meglio il linguaggio di forme e colori usato da Chagall, oltre a leggere le sue opere e curiosare informazioni in rete, “scrivo”, si scrivo con la penna, lo copio, provo a schizzare in pochi centimetri quello che lui ha creato in centinaia di centimetri.
 
“La passeggiata” (1917-1918 olio su tela 170×163,2 cm Museo di Stato Russo, San Pietroburgo)
Tra la prima guerra mondiale e la rivoluzione russa, come evadere? Un pic-nic fuori città…
con una “Bella” innamorata, e tutto diventa magia!
Ecco le casette vicine dal tetto a punta, di legno, lui le dipinge tutte di verde, un colore di malinconia e fatiche, ma anche familiare e concreto. La Chiesa no però, lei è rosa, quasi traparente come una medusa, serve allo spirito, serve alla leggerezza, come il colore del vestitino di Bella che si è alzata in volo! E lui è vestito elegante, eppure era ad un pic-nic sul prato, lì vicino c’è ancora la tovaglietta rossa con il vino e il bicchiere. Servirà anche il godere di qualche ebrezza per alzarsi con l’amata? Questa sua eleganza forse è solo serietà, sicurezza, serve a tenere il contatto con il mondo, in armonia con la natura? Infatti nella mano libera, Chagall, sì perchè è lui con Bella nel dipinto, Chagall tiene in mano un uccellino, tiene in amicizia la leggerezza e la semplicità che ci avvicinano alla natura.
 
Vedendo questo mio post su Facebook, un’amica mi chiede come mai questo interesse per Chagall. Rispondo a lei e così lo sapete anche voi:

– Posso chiederti cosa ti ha portato ad approfondire Chagall? Per la sua vita vissuta o la sua arte? Questo stile fantasioso mi piace… la sua opera “Io e il villaggio” vista al MoMA di New York mi è rimasta impressa…
 
– Che bello vedere dal vero queste opere!
Io Chagall lo conoscevo come nome di artista famoso, ma le sue opere non mi avevano mai attratto perchè -se non ci entri non le capisci- almeno io!
Dunque come ho deciso di entrarci? Seguendo Rigoni nella Bielorussia del 1975, quando passando per Vitebsk scrisse “mi venne chiara l’immagine degli innamorati di Chagall, sospesi dentro il verde degli alberi, con la luna e il suonatore di violino; mi pareva anche di ritrovare il profilo di una chiesa e lo scorcio di una strada visti chissà dove e quando in un suo quadro”.
Beh, mi ha incuriosito e sono andata alla ricerca del quadro… ne ho trovato una moltitudine…
 
Ecco svelato il collegamento: dalla lettura chiara ed essenziale dei racconti di Mario Rigoni Stern “Storie dell’Est”, scritti durante il suo viaggio in Bielorussia, mi sono ritrovata fra i volteggi colorati di Chagall.
Non riuscendo più a leggere Rigoni tanto ero  presa da Chagall, ho deciso di conoscere un’altra sua pittura:
“Doppio ritratto con un bicchiere di vino”
(1917-1918, olio su tela 44 x 71 cm, Musée National d’Art Moderne di Parigi)
Non ho preso bene le misure e ho dovuto rinunciare al disegno della parte alta. Non importa, certo non intendo fare gallerie, sono solo esercizi per entrare nel suo lavoro.
Quindi? 
Di nuovo una scena strampalata? Lui sulle fragili spalle di lei, lui che brinda, distrattamente le mette  una mano su un occhio, ma lei è tranquilla, bella, elegante, sembra ad una serata di gala. Sopra un bambino o un angelo, forse il bambino che arriverà? Fra le varie ipotesi interpretative, pare che il messaggio possibile sia la rappresentazione della forza della donna capace di sorreggere il suo uomo, dandogli la possibilità di perdere il contatto con la realtà, e nello stesso tempo guardare lontano e poter guidare verso nuove mete. 
Ai loro piedi sempre la città natia Vitebsk, situata sulle rive del fiume Dvina Occidentale, alla confluenza con la Vit’ba, il corso d’acqua dal quale la città prende il nome.
– Oltre al grande fiume cosa c’è? Possiamo allontanarci da questo posto che ci è consolatorio ma anche carceriere?
Loro si allontaneranno per bisogno, ma anche per salvarsi da repressioni e morte, e non torneranno più. Lei morirà prima di poter tornare, Chagall continuerà a restare legato a questo luogo della sua infanzia, ma non lo vorrà più rivedere, forse troppo dolore e troppi giochi e affetti perduti lo legavano a queste casette, a questi cieli. Ha continuato a vivere con loro in modo indissolubile, nei ricordi e nell’arte.

Per ora ho deciso di scrivere questo post per essere libera di tornare al viaggio con Mario Rigoni Stern.

Chissà se ce la farò?

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Aggiornamento 10 marzo 2023

Tutto a posto! sono poi tornata da Mario Rigoni Stern e ho concluso il mio viaggio con lui… ne ho anche intrapresi altri, ma Chagall ancora è con me, mi segue e mi guida con la sua colorata pacatezza.

È stato con me anche nell’ultimo viaggetto dove ho trovato due sue opere… qui  i suoi vecchi di Vitebsk

Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate 

 

La prigionia di Mario Rigoni Stern

RACCONTI 3) LA PRIGIONIA
Sono ubriaca, estraniata da me per essere là dove lui è stato, dove lui ha sofferto con lucidità, dove non si ribellava per autocontrollo, dove non fuggiva per non nuocere a sè e agli altri. Si fanno pazzie quando si è soli, quando si è responsabili solo di se stessi. E di te stesso decidi di fare quello che puoi, che vuoi, che da tanto desideri, anche a costo di morire… e la fortuna ti aiuta ma ti prende anche in giro, ti umilia anche lei: sta fetente!

 

Allora provo a scrivere un po’ di quello che ho letto, di quello che ho appuntato dei suoi racconti riuniti sotto il titolo “La Prigionia” nella pubblicazione sul volume dei Meridiani curato da Eraldo Affinati. Sono dieci racconti, cinque già pubblicati nella raccolta Amore di confine, due in Uomini boschi e api, uno su Tra due guerre, uno su Sentieri sotto la neve, … e l’ultimo: Che magro che sei fratello in Ritorno sul Don.

Dal racconto – Nel cuore la rabbia del Don

Per quasi tutti noi tornati, usciti dalla “sacca” del Don, a causa dell’8 settembre 1943 ci furono venti mesi fra i reticolati.

 link intervista a Mario Rigoni Stern sul suo 8 settembre

Dal racconto – I giorni del nord-Est I

Lager 1/B, in Masuria, ora nord est della Polonia, nei pressi del Mausoleo di Hindenburg, assegnato all’Aufnahmebaracke (baracca dell’accoglienza)

Compito nostro era di accogliere, quando capitavano gruppi di prigionieri che dai distaccamenti rientravano al Lager. Alla baracca dei bagni erano addetti altri prigionieri russi mentre per la tosatura dei capelli e dei peli provvedeva una squadra di deportate ucraine.

Il Natale del 25 dicembre 1943. Prima di mezzogiorno la guardia venne a chiamarci per la zuppa; e fu allora che vidi scritto sulla neve, lungo i reticolati, pestata con i piedi, questa frase “Frõhliche Weihnachten” (“Buon Natale”). Alle cucine versarono nel nostro barattolo due mestoli di acqua bollita con le rape e ci diedero la settima parte del filone di pane. Poi Mario Rigoni riuscirà ad arricchire il pranzo natalizio con torsoli gelati di cavolo, un pezzo di zucchero e due manciate di farina bianca, tesori recuperati e barattati al passaggio dei prigionieri.

Dopo sei mesi di Lager, sul vagone con un compagno verso un distaccamento per lavori sulla ferrovia, forse per punizione, per la vietatissima fraterna amicizia nata con i due russi della baracca confinante. 

Alla sera si trascinava la nostra stanchezza verso la stalla dove ci aspettavano un litro di zuppa e una fetta di pane, unico pasto giornaliero. Ed ecco la Pasqua! Io per quel giorno avevo anche una cosa che con gli altri non volevo spartire. Un uovo di gallina cotto e colorato, me lo aveva infilato nella tasca del pastrano una bambina polacca che ogni mattina incontravamo quando saliva sul treno con i compagni per recarsi a scuola.

Dal racconto – Quella primavera nel Lager 334  

Un giorno dei primi di maggio 1944 ci fecero rientrare dal lavoro e radunate le poche cose ci condussero alla prima stazione spersa in quella landa. Qui ci fecero entrare in un carro bestiame e ci rinchiusero. Per nostra fortuna non restammo tanto tempo al 334… Dopo un mese controllo e raggruppamenti 1, 2, 3 per destinazione lavori o morte. Ci condussero al treno.

Dal racconto – Nell’ultimo inverno di guerra

Ci trovavamo ora nel cuore dellAustria, nella Stiria, nel Lager 605GW, prigionieri e deportati di ogni nazionalità lavoravano giorno e notte a cavar ferro dalla montagna. L’Eisenberg, che era tutta a gradoni e dal Lager si vedeva, mi rese subito l’immagine del Purgatorio dantesco. La montagna di ferro era sempre battuta dalla tormenta in quell’inverno del 1945, e sui gradoni degli scavi il vento e la neve vorticavano come la bufera infernale. Gli slavi, i mongoli e gli italiani avevano i posti peggiori, esposti e in alto. Verso la fine di febbraio mi misero a lavorare in fonderia con un turco.

Era forse ai primi di aprile quando i nostri custodi ci radunarono in fretta e bruscamente-come al solito!- ci rinchiusero nei vagoni bestiame. Il viaggio durò poco con lunghe soste sui binari morti. Ci fecero scendere fra le rotaie divelte di una stazione: eravamo a Graz poco dopo il cinquantunesimo attacco aereo anglo-americano. Ci misero subito a sgombrare macerie finchè venne buio. Nostri nuovi angeli custodi erano delle SS ungheresi, furoni i peggiori, i più bestiali uomini che mi fu dato di incontrare. Durò così per giorni: a sgomberare macerie di giorno e di notte rinchiusi in un Lager alla periferia della città, con i bombardamenti.

In mappa gli spostamenti nei 4 lager: Lager 1/B; Lager 334; Eisenberg-Lager 605GW; Lager di Graz QUI

Dal racconto – Chissà dov’ero quel 25 aprile?

Un giorno mi si avvicinò un signore anziano e canuto, mi disse che a Vienna erano arrivati i russi, mi consigliò di scappare che la guerra era finita.

Quando questo accadeva non posso sapere che giorno fosse, ma io camminavo verso casa, a baita. Sarebbe stata l’ultima marcia forzata? Andavo lentamente, guardingo, magro, affamato, come un cane randagio. Ma andavo, anche se sentivo la febbre, ancora un passo dopo l’altro.

Ma quel 25 aprile 1945, dov’ero? Quel tempo cerco di ricostruirlo guardando una carta geografica, calcolando il mio passo. Quanti chilometri potevo fare in quelle condizioni tra quelle montagne?

Dal racconto – … Che magro che sei fratello!

Ormai il Lager era lontano -anche se erano passati pochi giorni- ora stavo risalendo le montagne verso il confine.

Quella sera, a Graz, quando li avevano radunati per riportarli nel lager si era nascosto tra le macerie, anche perchè un vecchio che lo aveva osservato mentre scavava gli aveva detto in tedesco -Vai subito a casa! Sei a pezzi! Così con la notte aveva abbandonato la città, orientandosi con le stelle. Raggiunto il fiume che scendeva dalle montagne aveva risalito la corrente. Dopo notti di cammino aveva visto le Alpi innevate.

La fame, il sonno, la stanchezzae un malessere che avvertiva per le membra e che forse era febbre gli facevano confondere luoghi e tempi. E così giunse alla frontiera. Passò lo spartiacque di confine, non c’era nessuno. Su un giornale nella polvere della strada, tra carte, sporcizia e scatolette, lesse “Mussolini gestorben”, Mussolini è morto, ma non provò nessuna emozione.

Finalmente la strada andava in discesa, il valico portava ancora i segni del passaggio dei soldati, vide risalire un reparto armato. Fece appena in tempo a nascondersi.

All’osteria del cacciatore, dopo un paese bruciato, si fermò per mangiare e riposare… Il giorno dopo il comandate partigiano cercò di spiegare all’ufficiale inglese che un uomo ammalato che arrivava dai lager tedeschi aveva bisogno di tornare a casa. Lui disse di aver capito, fece fare inversione di marcia al carro, Rigoni salì sulla torretta e venne portato a Udine, nella caserma brulicante di prigionieri tedeschi e fascisti, con un comando inglese.

Era di nuovo prigioniero?! Si guardò intorno come fosse in un incubo.

Si sedette per terra e pianse convulsamente per la rabbia di trovarsi ancora dietro al filo spinato dopo tanta prigionia, per giunta con i tedeschi, a guerra finita e vicino a casa.

Lo prese un’angoscia disperata! In cortile al di là del reticolato vide un ufficiale degli alpini, chiese aiuto, saltò e di nuovo in fuga!

Un contadino lo soccorre, e dopo qualche ora di cammino in campagna esce sulla strada maestra per essere più veloce. Ecco i freni di un automezzo dietro di lui: mi hanno ripreso! Fortuna era un soldato americano di colore, un po’ allegro, che correndo all’impazzata lo portò fino a Mestre.

– Per di là si va a Venezia, nel senso opposto verso le montagne.

S’incamminò estraniandosi da tutto, ogni tanto guardava il suo passo. Il camion americano gli aveva fatto guadagnare cinque giorni di cammino. con altri quattro poteva arrivare a casa. La fortuna lo fece arrivare alla sua Asiago che il sole era appena sceso dietro la montagna innevata. La luce era dolcissima ma lui era frastornato e smorto. Era quasi a casa, mancavano gli ultimi passi. Era la più lunga di tutte le strade, la più difficile da ritrovare, la più bella strada della terra, di tutte le strade che aveva camminato.
-“Che magro che sei fratello! gli disse stringendolo al petto!

QUI la mappa interattiva Graz/Asiago, ricostruita con Google-Maps, dell’incredibile viaggio di ritorno di Mario Rigoni Stern fuggito dalla prigionia.

Non in auto però. A piedi da Graz al passo del Tarvisio e su carro armato inglese fino a Udine. Fuga da Udine e a piedi per la campagna per non farsi riprendere.  Poi su un camion americano fino a Mestre. Altro camioncino con ex compagno di guerra fino a Vicenza. E ancora a piedi e a tratti con mezzi di fortuna, gli ultimi chilometri per Asiago con un furgoncino di partigiani.

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sintesi di Maria Valenti/Alicemate 

con rabbia, compassione e ammirazione

Gli schizzi colorati sono fatti da me come appunti di studio ;)
Le mappe sono costruite con Google-Maps. Foto della mano dal web.

 

Il cacciatore sull’Altipiano

Premessa al racconto del cacciatore.

Venti giorni fa, precisamente il 4 novembre, sono andata ad Asiago per un weekend. Sono andata con una motivazione: vedere l’Altipiano, terra natia, amata e raccontata dallo scrittore Mario Rigono Stern nei suoi numerosi scritti. Ne parla per raccontarci delle battaglie numerose combattute  lassù durante la prima guerra mondiale, ne parla con la nostalgia di chi lontano da casa pensa alla sua terra, e ne parla per la natura, gli alberi, gli animali anche nei numerosi racconti… In questi giorni sto leggendo i racconti relativi al periodo della prima guerra mondiale e, in quello intitolato “Musil in trincea”, ho ancora una volta rivissuto in modo particolare l’amore di Mario Rigono Stern per il suo altipiano. Il racconto inizia comunicando l’emozione che lui prova quando legge sulle pagine di altri scrittori qualche richiamo alla sua terra. Ci dice che, oltre a Musil, che dà appunto il titolo al racconto, anche Kafka, Gadda, Lussu e molti altri hanno raccontato o citato il suo Altipiano.

“Ma quanti altri ancora nei loro diari, memorie, ricordi, lettere, raccontano un episodio, un paesaggio, una roccia, un albero?”

Io non sono una scrittrice e Mario Rigono Stern purtroppo non può più leggere, ma queste sue parole mi hanno stimolato a raccontare di un mio incontro fatto sull’Altipiano proprio mentre percorrevo le strade e i boschi vicini a casa sua. L’incontro con un cacciatore che lo ha conosciuto, anzi un cacciatore che da giovanissimo è stato “sgridato” dallo scrittore/cacciatore!

Il cacciatore sull’Altipiano

Stiamo tornando dal sentiero che porta al Monte Zebio. Abbiamo deciso di tornare indietro, il cimitero della Brigata Sassari è ancora lontano, il bosco di abeti e pini è invitante, fresco, silenzioso e maestoso, ma anche sconosciuto. A malincuore dunque cambiamo direzione, siamo senza racchette e il ritorno sul terreno morbido e scivoloso di aghi potrebbe essere lento. Le giornate si sono accorciate e non ci resta molto tempo.

Mentre ripercorriamo il sentiero, appena fuori dal pecceto, vediamo salire verso di noi un uomo col fucile in spalla, non siamo più in guerra: è un cacciatore. Incuriosita e incredula – Chissà quante volte Mario Rigoni Stern sarà salito da qui col fucile e il cane per la sua caccia!
Devo poterlo fermare, rivolgergli la parola, e lo faccio: – Va a caccia? – No, faccio solo un giro –  risponde lui, e capisco che non è infastidito. Quindi gli faccio altre domande sulla caccia e anche su Mario Rigoni Stern. Lo conosce e sentendo che lo ascoltiamo volentieri ci racconta di un suo incontro con il vecchio scrittore e cacciatore quando lui era ancora un ragazzo.

 Una volta, tanti anni fa, ero di ritorno da un’uscita di caccia con mio padre, avevamo preso un bel capriolo e lo stavo portando a casa. Lo scrittore mi vide, abitava poco distante da qui, e mi fece cenno di avvicinarmi. Guardò l’animale catturato: -È proprio un bell’animale, ma non lo devi portare così. E poi spezzò un rametto da un abete, lo mise in bocca al mio capriolo e mi spiegò: -Ecco così si fa, è un segno di rispetto per lui. Ricordati di farlo sempre!”

Il nostro cacciatore ci diede altre informazioni sulla caccia e sul diverso modo di  praticarla in confronto a quando lui era giovane, ma il rispetto per la vita in ogni suo mostrarsi è e deve sempre restare fondamentale in ogni tempo. Lo salutiamo e soddisfatti ci fermiamo in un bel prato al sole per consumare il panino con formaggio asiago e la pressata, due prodotti tipici di questo luogo speciale!

Breve video mappa con il percorso fatto nella giornata sui passi di Mario Rigoni Stern e incontro col cacciatore:

Alcune foto scattate lungo il percorso:

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un esempio di umiltà e rispetto

con stima

da Maria Valenti/Alicemate 


(Le foto di Mario Rigoni Stern sono tutte prese dal web)

La crema di castagne

Dai mi decido a mettere sul mio blog questa crema: mi piace, mi è sempre piaciuta, insomma da quando l’ho scoperta, certo non da quando ero bambina però. Da piccola mi disgustava la merenda di pane e marmellata, era una fetta di pane diventata molle, bagnata da un pasticcio di gelatina dolciastra… insomma saltavo la merenda!

Ora invece ci sono delle buonissime confetture, ma la crema di castagne beh, è una crema! Ha una consistenza diversa e un gusto così pieno e gonfio di sapore di bosco!

E adesso che ho imparato a fare questa crema, sento pure la fatica e la pazienza, due lodevoli virtù necessarie alla preparazione, che aggiungono preziosità a questo prodotto.

Metterò la ricetta, anche se ha avuto diversi aggiustamenti nel tempo.

Avevo iniziato nell’ottobre del 2020, bloccati in montagna per lockdown a causa del covid, dovevamo raccogliere lo zafferano e abbiamo iniziato anche a raccogliere le castagne e poi… a doverle conservare!
Un modo per conservare le castagne è fare la crema o confettura di castagne.

– Dunque per prima cosa si devono raccogliere le castagne nel bosco, sotto gli alberi di castagno, se sono di proprietà si è più sereni!

– Si portano a casa, si lavano e si tolgono quelle col buchetto, quelle schiacciate, ecc

– Le scelte si mettono in una pentola capiente, che contenga almeno 1 Kg e mezzo di castagne, per ottenere un kg di polpa pulita, le copriamo di acqua e le facciamo bollire a fuoco lento per 40 minuti circa. (Nella pentola a pressione bastano 20 minuti dal fischio). Si possono aggiungere all’acqua due pizzichi di sale grosso e quattro foglie di alloro.

– Le scoliamo e le togliamo dalla pentola un po’ alla volta per non farle raffreddare troppo.

– Tagliamo a metà le castagne cotte e le svuotiamo con un cucchiaino.

– o meglio, se riusciamo, le peliamo. Questa è la parte più lunga e faticosa del lavoro.

– La polpa ottenuta sarà quella che ci servirà per fare la crema o confettura.

– A questo punto pesiamo la polpa e aggiungiamo in proporzione gli altri ingredienti

– Lo stesso peso di zucchero, o almeno l’80% se la vogliamo meno dolce e acqua un terzo del peso   della polpa di castagne (a piacere una stecca di vaniglia)

– Mettere gli ingredienti sul fuoco e far bollire per una decina di minuti per far assorbire l’acqua, quindi frullare con un mixer

– o passare con un passaverdura così da ottenere una pasta cremosa

– Invasare (come vedete i vasi sono molto piccoli perchè era la mia prima esperienza e volevo preparare assaggi per capire se piaceva). Vedete anche che i vasetti sterilizzati li rovesciavo.

– Ora metto la crema in vasi più grandi e li faccio bollire per 5/10 minuti, avvolti in un canovaccio. In questo modo si garantisce meglio la conservazione.

Quando sono un po’ raffreddati li tolgo dall’acqua e li etichetto. Se tutto è proceduto bene, dovrebbero andare sotto vuoto, la valvola sul tappo si abbassa.

Una bella foto per condividere la vostra fatica e stuzzicare la voglia di fare la crema!

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E oggi è il compleanno di un amico, quindi un vasetto/augurale con la data dei due “eventi” 😉

Auguri Agostino!

Alicemate ti dedica il suo post/ricetta ^_^

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Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate 

A Villa Borghese

La Danae del Correggio (1530)

“- Voi, se non erro, – disse Andrea, – dovete avere il corpo della Danae del Correggio. Lo sento, anzi, lo veggo, dalla forma delle vostre mani.
Voi siete, certo, come la figlia di Acrisio, che riceve la nuvola d’oro … Conoscete il quadro della Galleria Borghese?” (da Il Piacere di D’Annunzio)

Il 19 febbraio eccomi alla Galleria di Villa Borghese, in compagnia del mio “angelo” con il quale avevamo progettato di vedere le opere più rilevanti, e quelle citate nel romanzo di D’Annunzio, come “la Vergine nel tondo di Sandro Botticelli” con i suoi angioletti (di cui ho parlato nel post Un angelo per Roma!) e la Danae del Correggio (1530), a cui lo scrittore paragona Elena, l’amante del protagonista nel suo romanzo Il Piacere. La Danae del dipinto è una figura mitologica fecondata da Giove attraverso una nuvola…

Oltre a questo quadro ve ne sono molti altri di grandi pittori, di Tiziano: Venere che benda  Amore (1560), un amore cieco e fanciullo: ecco come si spiegano certi guai… infatti quelli che osservano sono un po’ in apprensione! Ancora di Tiziano Amor sacro e Amor profano (1514). Li riconoscete? Quale donna vi pare rappresenti l’Amor sacro? e quale quello profano?

“Al museo di Villa Borghese: grandi opere che possono trovare associazioni con le proprie piccole storie”. scrivevo la sera sui social.

Oltre a quella dell’angelo col braccio appeso, anche le statue del Bernini mi hanno ispirato: alla smorfia di tensioe del David nel lancio della sua fionda contro il gigante Golia, ho associato la mia piccola fatica a visitare Roma con un polso ingessato. E il gruppo di Enea con Anchise e Ascanio (1619) mi ha richiamato il mio gruppo famigliare, solo per il numero, spero che non si debba fuggire dalla guerra… anche se io a quel punto sarei già nel vaso degli antenati, sig! La figlia è presente nella foto, il figlio minore prende il posto del nipote Ascanio. (alla nota *)

Altre opere presenti di Bernini, di grande spettacolarità sono Il ratto di Proserpina (1622) e Apollo e Dafne (1625), di quest’ultima ho scritto qui.

E prima di uscire, salutiamo la padrona di casa: Paolina Bonaparte di Antonio Canova (1805).

Le due visitatrici che hanno goduto di tali opere d’arte, hanno apprezzato anche il buon clima romano e si sono fatte immortalare davanti al bel laghetto del parco di Villa Borghese, copiando un modello di 42 anni prima, e con questo giochetto vi salutano!

(nota*) Non so come abbia richiamato la mia famiglia il gruppo tutto al maschile della fuga di Enea da

Fuga di Enea da Troia di Federico Barocci (1598)

Troia, probabilmente il fatto che le due donne erano le sole presenti al museo. Ho però sbagliato immaginando la parte femminile della famiglia di Enea, non presente nella scultura, come deceduta e quindi nel vaso dei Penati portato da Anchise, oppure non esistita. La madre di Enea invece era la dea Afrodite, quindi immortale e pare che l’unica figura femminile presente nella fuga fosse Creusa, la moglie di Enea, ma si perse. Nel museo è presente anche un quadro che la rappresenta. Pare ci siano state anche sorelle di Enea, ma nella fuga non c’erano…



Link per approfondire:
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Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate  ^_^

Fellini Federico Film

Non sono una cultrice del film come modalità di espressione. Questa arte è sempre stata lontana dalle mie possibilità. Da bambina il mio piccolo incontro con il cinema è stato di più su come si proietta e aggiusta una pellicola, che su come si legge e gode un film. Da giovane ricordo i “cineforum”: interessanti, ma raramente ero libera per poterne seguire la serie e riuscire a comprendere la struttura e le diverse componenti che mi avrebbero iniziato ad una lettura più consapevole: dovevo lavorare!

Anche il grande Fellini però dice di aver vissuto da ragazzo la difficoltà a frequentare le sale cinematografiche, il suo ambiente provinciale vedeva questi luoghi e queste proiezioni, così vicine alla realtà, come tentatrici e peccaminose.

Poi lui è andato in città e pian piano ha fatto del cinema la sua vita!

E io? Ho continuato a vedere cose qua e là, a pezzi, a volte film iniziati mi catturavano e magari li vedevo finire, altre volte li vedevo iniziare ma poi… L’intera visione richiede tempo e subito, non c’era la possibilità di rinviare a quando il tempo si trovava, come per un libro, no, o si vedeva quando era programmato al cinema o alla tivù, o era perso!

Quindi eccomi qui ora, in pensione, a scoprire Fellini, solo ora che il suo creatore non c’è più, ora che sarà superato, con pellicole che parlano di ieri. Ieri in provincia, ieri in città, ieri con le donne, con la povertà, con la politica, con il sesso, con la violenza… Nei suoi film c’è però molto sogno, molta immaginazione, tutto confuso, mischiato, da rimettere in ordine, da scoprire… serve “svegliarsi dai film” e scoprire che forse quei risvegli non sono ancora avvenuti, siamo ancora confusi e chissà che anche Fellini possa ancora darci una mano?

Questi i film che ho visto, nell’ordine cronologico di come mi sono capitati.

Solo uno, “La Strada” con Giulietta Masina, ricordavo di averlo visto e l’ho riguardato con grande sofferenza, per la tristezza che trasudano i suoi personaggi, sbattuti nella sventura della vita con incredibile crudeltà.

Anche “Giulietta degli Spiriti” mi ha lasciata amareggiata, come pure “Lo Sceicco Bianco” (dove c’è ancora una piccola parte di Giulietta Masina). Questa brava attrice sa interpretare la sottomissione femminile con una tale sofferta tolleranza che smuove nel mio essere donna la voglia di riscatto più di un trattato femminista!

“8½”, la scelta di questo titolo è stupendamente adatta al film, ma sì diamogli un titolo lasciandolo senza titolo, come il suo regista/protagonista senza idee.

E “Amarcord” e “I Vitelloni”? E “Roma” e “La Dolce Vita”? Che pennellate di ricordi, di ricordi anche inventati o imbrogliati dal tempo che passa, dalla voglia di cambiarli, dalla voglia di farli più forti, più interessanti, più pericolosi… Certo io ho visto da poco Rimini e da poco anche Roma e questo mi ha aiutata ad entrare in questi film di Fellini, ma ogni città e ogni cittadina ci si possono ritrovare, anche se il tempo scombina un po’ forme e colori.

“La Città delle Donne” è il sogno di un uomo che si perde in una strana città, come succede ad Alice cadendo nel Paese delle Meraviglie.

“Casanova di Fellini” e “Fellini Satyricon”?  Due rivisitazioni di scritti di tempi passati che schermano il perpetuarsi di bellezza e perdizione dell’umanità?

Ecco ho scritto di getto come ho guardato in pochissimi giorni stupende e dirompenti immagini, frastornata e deliziata dai suoni e assordata dai rumori sotto le cuffie del mio pc… Non so se continuerò a scoprire il cinema, Federico Fellini mi è piaciuto anche come persona, l’ho trovato così tranquillo e convincente, così geniale e paziente… Non faccio confronti con altri registi perchè non posso, una sola cosa: non mi ha affascinato il suo personaggio come mi era successo con Carmelo Bene (dico di lui perchè come Fellini è stato un artista dello spettacolo), ma le opere di entrambi mi hanno colpito.

I film visti da me in ordine di uscita sugli schermi:

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Le immagini sono prese dal web e alcune modificate, per aiutarmi a riorganizzare al meglio le visioni fatte in soli dieci giorni dal 22 settembre a oggi.

E per ora:

Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate  ^_^

Maltempo di burrasca a Rimini

Dalle previsioni meteo per sabato 17 settembre sapevamo che ci sarebbe stato un maltempo, ed era meglio occupare la giornata per altro che bagni in spiaggia! Infatti era programmata la visita ad una mostra floreale, dal titolo accattivante “Giardini d’Autore” (come accennato qui a fine articolo). Questa mostra era allestita in uno spazio molto particolare, la Piazza sull’Acqua. Un luogo che sta alla fine del porto canale, subito dopo l’antico Ponte di Tiberio.

Pochi secondi di filmato fatto giovedì 15 settembre mostra gli allestimenti pronti:

Dunque sabato mattina mi impegno per prendere i biglietti on line, ma purtroppo non riesco a concludere l’acquisto, non importa, andremo sul posto. Ci informiamo per i bus che possono portarci nelle vicinanze. Siamo un po’ in anticipo e decidiamo di fare un salto in spiaggia per respirare il profumo di pioggia che c’è nell’aria…

Il mare è decisamente poco rassicurante (video sotto), si sta preparando la burrasca… alcune gocce ci convincono a tornare sulla strada.

Ci inseguono raffiche di vento improvvise, cerchiamo un posto sicuro ma non è facile, alcune sostegni di tendoni si rompono, i pali dei cartelli dondolano. Alla fermata del bus il riparo sembra reggere bene… ma il bus non arriva, finalmente si ferma un pullman turistico e l’autista gentilissimo ci porta in stazione. Da qui raggiungiamo il centro, ma la pioggia diventa insitente e il vento non ci permette di camminare. Ci rifugiamo sotto i portici del palazzo del municipio con altri, il vento è freddo, ci spostiamo per cercare un bar, troviamo prima una chiesa aperta, è calda e ci fermiamo. Intanto leggiamo che la mostra dei giardini è stata allagata, e il maltempo non smette ancora. Andiamo in un bar e aspettiamo che questa bufera si calmi un po’. Piove ancora ma si riesce a tenere l’ombrello, ci dirigiamo verso la stazione, poi all’hotel: rami spezzati e foglie tritate lungo strade e marciapiedi, evitiamo il parco, ci sono alberi a terra, ne aggiriamo uno caduto anche sulla strada. Alle 16,30 sembra tutto finito, usciamo e andiamo in spiaggia: le numerose torrette di controllo dei bagnini sono state tutte abbattute, sabbia e acqua hanno invaso e allagato i bagni, ma molte persone sono già all’opera per ripulire e rimettere ordine.

Alcune foto a confronto, di prima e dopo della burrasca.

Il mare davanti al nostro bagno:

Guardare il mare:

 

La passerella del nostro bagno:

Due torrette di controllo a terra, come tutte le altre 22 della spiaggia:

Oggetti sul “bagnasciuga”:

Ombrelloni di paglia:

Uccelli e colori nel cielo:

E con questo accenno di arcobaleno salutiamo il mare e le sue multiformi presenze!

Grati per l’ospitalità e con l’augurio di giorni sereni…

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Scritto, documentato e pubblicato da

Maria Valenti/Alicemate  ^_^

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